di Massimo Marino *
Che Torino e il Piemonte siano
stati, un po’ sorprendentemente, uno dei punti di maggiore tensione di queste
giornate di “ proteste dei Forconi “ di metà dicembre, ma anche di altri
momenti accesi di contestazione del sistema politico sempre più spesso
identificato sommariamente come “la casta” non deve stupire.
Siamo nella regione dove sono
saltati i mezzi toni, le sfumature, le mediazioni, in definitiva, il dialogo
sociale. Si va allo scontro più che al confronto: TAV, Inceneritore e
Grattacielo di Torino, tramonto della Fiat e dell’automobile con il loro
indotto, esplosione dei Centri Commerciali e decimazione delle attività commerciali di strada,
devastazione dei territori agricoli come i 3 km di cave e discariche
ininterrotte e allineate in fila come denunciano in Valledora, crisi del
sistema sanitario e chiusura contestata di
presidi ospedalieri locali,
comparsa di forme organizzate di criminalità mafiosa (vedi l’inchiesta
Minotauro ), una cementificazione mai arrestata e indifferente al colore
politico delle giunte, il Piano Regolatore di Torino del quale si sono
abbondantemente superate le 200 varianti e per finire e non farla troppo
lunga, un Consiglio Regionale con 43 su
60 membri inquisiti con varie ipotesi di
reato compresi il vincente Cota e la perdente Bresso. Per di più, a 3 anni dal
voto regionale, si riconosce di fatto
irregolarità gravi nelle liste minori della coalizione vincente di
centro-destra, ma anche problemi nella coalizione perdente. Tutto ciò per
indicare che nel Piemonte le cose si muovono con una velocità ed una tensione
che lo rendono un caso forse unico nel panorama pur tormentato del paese.
La TAV è la madre
di tutte le battaglie. Il progetto nacque 20 anni fa, è cambiato infinite volte
( nacque come sistema veloce per passeggieri poi si trasformò in prevalenza in
sistema che dovrebbe movimentare merci ) ed ha cambiato più volte ipotesi di
percorso; ma resta prima di tutto il progetto di un grande buco di più di 50 km
fra le strette valli valsusine che hanno già sopportato a stento all’epoca
l’autostrada della SITAF verso la Francia. La validità tecnica del progetto è
cosa di cui non si discute quasi più. Il movimento NOTAV, che nella valle ha
consolidato il sostegno attivo e militante della maggioranza, che nei momenti
più importanti è in grado di raccogliere anche decine di migliaia di persone,
che ha dalla sua parte decine di esperti , docenti di università e politecnico,
e consistenti gruppi di sostegno anche fuori dalla valle, non ha interlocutori
con cui si possa discutere nel merito pubblicamente.
La TAV si deve fare e basta, ha in più
occasioni dichiarato Chiamparino e l’intero gruppo dirigente piemontese del PD,
che è il principale pilastro che sostiene un progetto parecchio traballante. La
TAV è in realtà un grande Bancomat che si apre fra le valli, che funzionerà per
7-8 anni ( ma potrebbero diventare 10-12 ) , che costerà 8-10 miliardi ( ma
potrebbero diventare anche più di 15 ), che fa convergere oggettivamente gli
interessi di una decina di società che
gestirebbero i lavori, il sistema di partiti che lo sostiene, i gruppi mafiosi
che non stanno certo a guardare i lucrosi e incontrollabili appalti previsti
tanto più in una valle che si può rendere facilmente inaccessibile, il sistema
bancario che già con le Olimpiadi è già stato in prima linea nella gestione
delle risorse. Ciò che importa non è che la TAV si finisca ma che la TAV si
inizi perché questo salda
definitivamente gli interessi di un blocco sociale-finanziario-politico che con
questo progetto si presenta come indistruttibile e inossidabile. L’impegno
delle risorse sulla TAV mentre si impoverisce
giorno per giorno il sistema di
trasporto locale, si allontana ad un futuro improbabile la attuazione di un
vero sistema metropolitano che si sviluppi a rete nel capoluogo e si allunghi
nei grandi comuni limitrofi, mentre si sta pensando di smantellare
definitivamente la rete tranviaria, in pieno recupero e sviluppo in tante
metropoli europee, è l’esatto contrario di quella conversione ecologica nel settore della mobilità e nelle priorità
da dare nell’impegno di risorse che auspicheremmo. Politicamente la TAV è già
costata moltissimo ai suoi sostenitori e in particolare al PD. Sulla TAV nel
marzo 2010 la coalizione della Bresso perdeva per 10.000 voti la Regione mentre
il M5Stelle, ben prima dei recenti successi di Grillo, unica lista che poi
candidava ed eleggeva anche esponenti NOTAV, superava il 4% ottenendo 2 eletti. Analoghi successi
ottenevano le Liste Civiche di orientamento NoTav alle successive elezioni
comunali nella valle, dove si sperimentavano in primis le “larghe intese” con
liste PD-PDL in alcuni comuni che venivano decisamente sconfitte, tant’è che
nella Comunità montana permane una maggioranza NOTAV. Alle elezioni politiche
di febbraio il M5Stelle raggiungeva in alcuni comuni anche il 40%, mentre
insoliti risultati consistenti otteneva anche Rivoluzione Civile di Ingroia. La
TAV è ormai questione nazionale e il suo destino dipende dagli esiti generali
del sommovimento presente nel paese.
L’inceneritore del Gerbido, forse il più grande inceneritore costruito in Italia
( 420.000 tonn/anno di rifiuti urbani da bruciare nelle sue tre camere di
combustione quando sarà a regime), è in
funzione nel quartiere di Mirafiori, alle porte della città di Torino, da pochi
mesi. Malgrado la contestazione, tenace e puntuale ma oggettivamente ridotta
del gruppo storico che forse da quasi 20 anni si occupa di rifiuti, raccolta
differenziata e denuncia della valenza negativa degli inceneritori, l’impianto
è stato avviato ma ha subito, causa motivi tecnici, continue fermate e
inconvenienti che rendono sempre più delicata la sua gestione che prima ancora
del suo completo funzionamento è passata per l’80% dalla città al gruppo
privato Iren. Il Comune dovrebbe incassare 130 milioni di euro, ma la città ne
ha spesi comunque più di 400 per costruire l’impianto. Per il primo anno di pre-esercizio era
previsto di incenerire più di 1200 tonnellate di RSU al giorno sulle tre linee.
Ad oggi se ne bruciano meno di 700,
utilizzando una sola linea. Vuol dire
40.000 tonnellate in meno a fine anno e un mancato introito tra i 3 e i 4
milioni di Euro. La realtà che emerge è che l’impianto, anche per la diminuita
produzione di rifiuti causata della crisi,
non ha sufficienti contratti e quindi rifiuti da bruciare; tant’è che per mantenere viva la sua seconda fornace
si ricorre al metano mentre si cercano
rifiuti da altre zone. In realtà diventa sempre più paradossale che l’impianto,
metano compreso, resta in piedi economicamente solo grazie ai Cip6, i contributi
che tutti paghiamo sulla bolletta elettrica
e che dovrebbero andare alle energie rinnovabili. La perdita economica,
se dovesse perdurare, si scaricherà prima o poi sulla città e mette a rischio
il procedere dei programmi della Raccolta differenziata ferma e mai partita per
la verità in varie zone della città. Emerge il rischio di mettere quindi in
secondo piano l’obiettivo della RD , oggi al 42% nell’intera Provincia di
Torino, ed anche più alta in altre province come quelle di Novara e del
Verbano-Cusio-Ossola. Sarebbe paradossale che la città che in molti studi viene
indicata fra le più inquinate d’Europa, specie per le polveri sottili, dopo la
scelta insostenibile di costruire un impianto di incenerimento alle porte, lo
mantenga economicamente con un aggravio economico dei cittadini , lo alimenti
raccattando rifiuti in altre zone della regione e del paese o ridimensionando silenziosamente il recupero
dei materiali; il tutto per garantire la remunerabilità del suo principale
proprietario privato.
ll grattacielo Intesa Sanpaolo sarà la sede dell'omonimo gruppo bancario e sorgerà a
Torino nel quartiere di Cit Turin. Già da maggio di quest’anno la costruzione
ha raggiunto di fatto la sua massima altezza che alla fine , dopo forti
contestazioni, sarà di circa 167 metri, praticamente uguale a quella della Mole
Antonelliana che dal 1889 caratterizza lo skyline della città. Dal punto di
vista del paesaggio l’impatto del grattacielo è orribile ( sempre più man mano
che la costruzione si completa); la qualità energetica dell’edificio è secondo
alcuni esperti, tecnici e architetti contestatori, minore di quella annunciata;
ma soprattutto l’ area che occupa di circa 160 × 45 m compresa tra corso
Inghilterra e corso Vittorio Emanuele II e
vicina alla stazione di Porta Susa, con il suo carico previsto di 2000
impiegati, renderà definitivamente impraticabile una zona del centro cittadino
già oggi affollata di auto e pressoché priva di posteggi facilmente fruibili;
mentre la linea 1 del Metrò è l’unica ad oggi quasi completata riducendo la
possibilità di fruizione per la gran parte di coloro che si muovono nella
città. L’intasamento e la “densità costruttiva” della città provocata dalle
giunte di centro-sinistra, che da Castellani a Chiamparino e infine
Fassino hanno già portato a più di 200
varianti del Piano regolatore, insieme al ritardo ormai insanabile della rete
metropolitana, è forse la principale sconfitta della città, dove oggettivamente
la soluzione del problema traffico-inquinamento-costi vede la resa di tutti i soggetti che a vario
titolo ne dovrebbero avere responsabilità e competenza.
Nella prima metà degli anni ’90, con la disgregazione o la
trasformazione dei vecchi partiti, DC, PSI e PCI, si avviava una drastica
trasformazione del sistema politico locale. La
V legislatura regionale ('90-'95) dell’anziano presidente democristiano
Brizio si chiudeva con quella che molti hanno chiamato “ la prima giunta
anomala” italiana dopo la fase di Mani Pulite. Una inedita maggioranza DC-PCI
più un Verde e un Radicale, che ha per qualche anno assicurato una inedita
svolta nella politica regionale. Nel periodo successivo il territorio regionale
apparve per un po’ politicamente come una ciambella: la provincia di Torino al
centro con una netta maggioranza di centro-sinistra, e le 7 province di contorno
con una prevalente fisionomia di centro-destra. Ma nelle successive legislature
prima Ghigo (cd) poi Bresso (cs), tutto è diventato più sfumato. Il
centro-destra piemontese è sempre stato di scarsa qualità e abilità, ad
eccezione di un gruppo di ex democristiani storici che si sono spostati
ripetutamente nelle giunte di diverso colore anche con ruoli di rilievo. La
situazione è progressivamente cambiata con la nascita del PD che ha raccolto a
man bassa transfughi dei vari partiti
della fase storica precedente ( DC, PSI, PCI-DS ma anche alcuni verdi,
dipietristi, e delle varie sinistre in disfacimento che si offrivano sul
mercato a poco prezzo e sempre in ruoli marginali) ed ha inventato il gruppo
dei Moderati, un contenitore elettorale dei più diversi interessi locali, privo
di una qualche definita connotazione politica, ma alleato elettorale in tutte le competizioni ,
anche con un certo successo. Sul PD piemontese circolano alcune battute
significative: la prima è che con l’era Chiamparino si è inaugurata la nuova
strategia: che per battere il centro-destra è sufficiente fare propria una
politica di centro-destra; la seconda che l’unica sezione davvero funzionante
di partito è quella che raccoglie la Banca SanPaolo, le redazioni locali di
Repubblica e La Stampa e di Rai3. Fece un certo scalpore infatti al momento
delle primarie che a Torino scelsero Fassino come candidato a sindaco della
città, scoprire che gli iscritti al PD in una città di quasi un milione di
abitanti erano forse poco più di 3500.
I movimenti locali di connotazione ambientalista,
civica o delle varie sinistre dissidenti sono stati numerosissimi e molto
attivi per anni; si disse che in Piemonte erano più di 300 i gruppi locali
collocabili in queste aree, ma desolante la loro incapacità di trovare forme di
aggregazione e leadership di un qualche rilievo; sempre presenti nelle scadenze
elettorali, sempre divisi e sempre spazzati via, il fenomeno sta rapidamente
spegnendosi con l’avvento di nuovi protagonisti; con poche ma importanti
eccezioni di rilievo: la prima ovviamente l’occasione dei referendum dove
questo variegato e diffuso fronte alternativo, una volta tanto unito, ha
scoperto di diventare anche in questa regione, e più che in altre, catalizzatore momentaneo della maggioranza
dei cittadini della Regione. La seconda eccezione sono alcuni esempi di “zone
liberate “: a parte la specificità di vari comuni della Val di Susa, governati
da giunte NOTAV, l’esempio del piccolo comune di Tronzano nel vercellese dove 3
anni fa una lista civica e di connotazione fortemente ecologista batteva le
solite due liste tradizionali e metteva a sindaco Chemello, un giovane bravo e
troppo poco conosciuto, vicino al Movimento Valledora, un organismo che ha
unito numerosi comitati a cavallo fra vercellese e biellese nella difesa
puntuale del territorio dall’assalto di cave e discariche; poi il successo a
Rivalta, comune della seconda cintura torinese, di una lista locale (Rivalta
Sostenibile ) che presentatasi per la seconda volta alle elezioni, batteva al secondo turno la coalizione PD
eleggendo a sindaco Mauro Marinari, un
attivissimo esponente ecologista locale. Si tratta però di episodi
oggettivamente isolati. Le elezioni
politiche di febbraio hanno visto anche qui l’esplosione elettorale del
Movimento 5Stelle, preceduta dalla nascita di tantissimi gruppi e successi
locali, che non è detto riescano a tenere con il tempo dopo una crescita così
rapida e del tutto imprevista. Ma tutto è ancora in rapida trasformazione ed è
difficile dire in che direzione, visto anche il probabile scioglimento
anticipato del Consiglio Regionale espressione quasi di una diversa e superata
era geologica.
* Massimo
Marino, torinese, è stato Coordinatore nazionale dei Verdi nel 1987 alla
nascita della Federazione dei Verdi, dalla quale si è definitivamente allontanato nel 1993 nel
periodo successivo all’elezione di Rutelli a loro portavoce nazionale. Nel 1990
è stato eletto consigliere regionale per i Verdi-Sole che ride. Negli ultimi
due anni del mandato (1994-95) è diventato Assessore Regionale all’Ambiente e
alla Protezione Civile avviando il primo Piano Regionale dei Rifiuti del
Piemonte, la costituzione dell’Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) e
occupandosi del piano di bonifica di Trecate dopo l’esplosione del pozzo
petrolifero dell’Agip e del rilancio della Protezione Civile regionale nel
periodo della tragica alluvione del 1994. Dal 1995 è rientrato in fabbrica fino
al 2002 svolgendo l’attività di tecnico di ricerca nel settore
chimico-farmaceutico, impegnandosi nel ruolo di delegato di reparto, poi eletto
delegato all’ambiente di fabbrica previsto dalla L.626. Nel 2008 ha ripreso un
impegno ecologista più diretto con la fondazione del Gruppo delle Cinque Terre per
il quale mantiene l’impegno attraverso interventi, articoli e documenti sui
blog del gruppo. Pur avendo riconosciuto le affinità del Movimento 5Stelle con
le elaborazioni del gruppo nel campo dell’ecologismo, della democrazia e dei
temi sociali l’impegno di fondo resta quello della riflessione sulla necessità
di “un nuovo ecologismo europeo” e della convergenza in questa direzione dei
tanti movimenti sociali che operano nella società italiana e nell’ambito
europeo.
( testo base
dell’articolo in uscita in gennaio sul n.7 della rivista Barricate )
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