In Piemonte le attività estrattive sono per volume e
numero tra le più rilevanti in Italia (più di 470 cave attive a cui vanno
aggiunte le oltre 310 cave dismesse o abbandonate) così come elevato è il giro
d’affari legato al ciclo del cemento. Attività queste che interessano
fortemente il paesaggio e la qualità dei territori in cui si svolgono e
sollecitano ragionamenti che riguardano il rapporto con una risorsa non
rinnovabile come il suolo e la gestione dei beni comuni, oltre ad essere un
settore che fa particolarmente gola alle ecomafie.
Nel corso di
una conferenza stampa tenutasi a Torino, Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta e
Libera Piemonte hanno presentato le proprie osservazioni al Disegno di Legge Regionale n.
364 “Misure urgenti di semplificazione delle norme regionali sulle attività
estrattive. Modifiche alle leggi regionali in materia di cave e torbiere”.
“Sia la
normativa nazionale che quella regionale sono state formulate in una
prospettiva sviluppista che immaginava la domanda di inerti in crescita
costante, le risorse abbondanti e le criticità ambientali scarse –ha spiegato
Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Questo approccio non ha consentito
di affrontare, con un’attenta pianificazione e una conversione all’efficienza,
la crisi economica e il conseguente crollo della domanda. Le normative in
vigore dovrebbero essere riformate tenendo conto dell’innovazione tecnologica
che, anche nel settore dell’edilizia, permette di porre un freno alle nuove
escavazioni, favorendo il riutilizzo dei materiali e creando nuove imprese e
lavoro nell’ambito della green economy”.
Ad oggi il
quadro normativo nazionale è fermo al Regio Decreto del 1927 e l’attività estrattiva in Piemonte
è regolamentata dalle leggi regionali 69 del 1978 e 44 del 2000, norma,
quest’ultima, che prevede l’adozione di Piani delle Attività Estrattive a
livello provinciale. Pianificazione territoriale disattesa dalla maggior parte
delle Province e dalla Regione che non si è mai neanche dotata di un piano di
recupero ambientale delle cave dismesse o abbandonate.
Cavazione, discariche e cemento sono oltretutto i
settori più infiltrati dalle ecomafie, così come denunciato da Legambiente e Libera
e come confermano le numerose indagini delle Forze dell’Ordine. Il ciclo
illegale del cemento in Piemonte è caratterizzato da una forte presenza di
interessi mafiosi, come testimoniano importanti inchieste e operazioni messe in
atto dalla Magistratura.
Una su tutte
l’inchiesta Minotauro che ha confermato il radicamento della ‘ndrangheta
calabrese in ampie parti del territorio piemontese. Nella regione, solo nel 2012, le
Forze dell’Ordine hanno accertato nel ciclo del cemento 199 infrazioni, sono
state denunciate 260 persone e sono stati effettuati 15 sequestri. L’impegno di Libera in Piemonte su questo tema parte
dall’omicidio Marcoli a Romentino (NO) del 20 gennaio 2010 che attraverso le
indagini delle forze dell’ordine ha fatto emergere come sulle cave ci siano
interessi e metodi mafiosi.
“In ragione
delle infiltrazioni delle organizzazioni criminali nel settore stupisce che nel
disegno di legge non siano state introdotte norme cogenti che privilegino le
imprese virtuose ed escludano quegli imprenditori o aziende che hanno più volte
violato disposizioni ambientali, tributarie o penali –ha dichiarato Maria Josè Fava,
referente di Libera Piemonte-. Appare altresì inopportuno che venga a
mancare la proporzionalità delle sanzioni nel caso di attività di coltivazione
di cave o torbiere in difformità dall’autorizzazione rilasciata. Anche il
problema del controllo e della vigilanza non è affrontato nel disegno di legge
come sarebbe necessario ed auspicabile, istituendo appositi uffici a livello
provinciale e destinando loro le giuste risorse economiche”.
Nelle osservazioni viene sottolineato come l’assenza
di pianificazione provinciale sia particolarmente grave perché, di fatto,
demanda ai Comuni un’eccessiva discrezionalità decisionale in assenza di
qualsiasi tipo di riferimenti su quanto, dove e come cavare.
L’eccessiva
delega ai Comuni, già oberati di incarichi e privi di risorse e competenze
ridurrà la già scarsa capacità di verifica del rispetto dei disciplinari di
concessione e/o degli abusivismi.
“Non sussistono
più ragioni credibili per non ridurre in maniera significativa il prelievo da
cave attraverso il recupero e il riutilizzo degli inerti provenienti
dall’edilizia ma semmai l’urgenza di procedere in tale direzione attraverso
regole chiare, ferme e una giusta tassazione –ha sottolineato Fabio
Dovana-. Occorre quindi ridefinire l’incidenza sul territorio di tali attività,
riducendone l’impatto rilevantissimo, anche sotto il profilo paesaggistico, e
restituendo alla comunità, e non al mercato, la ponderazione della misura.
Questa profonda innovazione nel settore è già perseguita con successo in altri
Paesi europei dove la quantità dei materiali estratti è stata ridotta
attraverso una politica di riutilizzo di inerti provenienti dal settore edile”.
In Italia viene riutilizzato o riciclato soltanto il
10% circa di materiale a fronte del 95% circa dei Paesi Bassi o della
Danimarca; la scelta italiana di non riutilizzare e riciclare comporta la
necessità di maggiori volumi a discarica (e dunque favorisce l’incremento di
escavazioni).
Per
invertire questa tendenza sono necessarie leggi che favoriscano l’utilizzo
consistente di inerti provenienti da operazioni di recupero (e l’obbligo per
tutte le opere pubbliche). In particolare è necessaria la revisione dei canoni di concessione,
irrisori rispetto al margine di profitto conseguito in questi anni dalle
imprese del settore e ulteriormente ribassato in questa proposta di legge.
Se ad
esempio la Regione Piemonte applicasse i canoni in vigore in Gran Bretagna (la
tariffa più alta in Europa) le entrate regionali per la sola estrazione di
sabbia e ghiaia si attesterebbero intorno ai 33,5 milioni di euro a fronte dei
5 milioni di euro di oggi.
Una delle
proposte di Legambiente e Libera è quindi quella di prevedere canoni di
concessione maggiori per il ricorso a materiali inerti e minori per chi ricorre
a materiali di recupero. Inoltre, relativamente alle attività di cavazione in aree protette, le
associazioni propongono che i canoni siano maggiori di almeno il 30% rispetto
alle restanti aree.
“Con il disegno di legge 364, anzichè andare in questa
direzione –denunciano le associazioni- la Regione Piemonte abbassa
ulteriormente i già irrisori oneri di concessione senza nemmeno introdurre
alcuna diversificazione tra tipologie estrattive e materiali.”
“E’ una
scelta miope volta esclusivamente alla riduzione dei costi fissi di impresa
semplicizzando pericolosamente le procedure di autorizzazione. Una direzione
assolutamente priva del pubblico orizzonte”.
Legambiente
Piemonte e Val d’Aosta e Libera Piemonte
( da salviamoilpaesaggio.it 5 dicembre 2013 )
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