giovedì 22 dicembre 2011

Dal TAV al trasporto pubblico locale: Tavola rotonda a Biella


venerdì 13 gennaio ore 20,30 – Museo del Territorio di via Quintino Sella

serata promossa da: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’ – ITALIA DEI VALORI

moderatore: SILVANO ESPOSITO, direttore IL BIELLESE

riflessioni sul TAV:

LUCA GIUNTI, naturalista, tavolo tecnico Comunità montana Valle Susa

MASSIMO MARINO, ecologista, del Gruppo delle Cinque Terre

VALENTINA CANCELLI, assessore Comune di Villarfioccardo

riflessioni sul FARE ( Ferrovie Alpine Responsabili Efficenti):

ANGELO TARTAGLIA, del Politecnico di Torino, copresentatore progetto FARE

riflessioni sui trasporti locali:

MARCO VIGLIOCCO, presidente Associazione Pendolari Biellesi

conclusioni:

VANDA BONARDO, responsabile ambiente SEL Piemonte

ROBERTO GERSCFELD, consigliere provinciale IdV

partecipano:

MOVIMENTO VALLEDORALIBERA Biella - RIFONDAZIONE COMUNISTA biellese - PARTITO RADICALE Biella


lunedì 19 dicembre 2011

Torino: Linea 2 metropolitana, per il CIPE è opera prioritaria


Confermati dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica il carattere prioritario della linea 2 della metropolitana ed i finanziamenti per la tratta Lingotto-Bengasi della linea 1…..

La delibera che conferma la priorità della linea 2 è arrivata. Lo ha reso noto il Comune di Torino in un comunicato. Nella riunione del 6 dicembre, la prima dopo l’insediamento del nuovo Governo, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) ha confermato il carattere di alta priorità della linea 2 della metropolitana di Torino, al quinto posto della graduatoria delle opere prossimamente finanziabili, fatto che consente al Comune di avviare la progettazione preliminare dell’opera.

Il CIPE ha confermato inoltre il finanziamento di 106 milioni di euro per il completamento della linea 1 di Metropolitana con la realizzazione della tratta Lingotto-Bengasi, di cui in queste settimane si sono avviate le procedure per l’affidamento dei lavori.

Da ECO dalle città 7 dicembre 2011

domenica 11 dicembre 2011

Torino stritolata da debiti e cemento

di Gaetano Farina *

Ai torinesi le Olimpiadi Invernali del 2006 sono state vendute come un’opportunità irrinunciabile per la rigenerazione del tessuto sociale ed economico.

A cinque anni da quell’evento, però, Torino si ritrova comune più indebitato d’Italia: i piani di “riqualificazione” e le strutture olimpiche sono state pagati solo in parte da Stato e privati; non sapendo come riutilizzarle, la maggior parte delle nuove strutture destinate alle discipline sportive (specialmente i siti e gli alberghi di montagna) sono rimaste un “costo” tanto che per alcune si ipotizza già lo smantellamento; troppi locali, in primis il “villaggio degli atleti” che sta letteralmente cadendo a pezzi, sono rimasti inutilizzati, mentre centinaia di costosissimi “addobbi” olimpici sono divorati dalla ruggine nei magazzini comunali.

Solo qualche giorno fa, il programma Striscia La Notizia ha denunciato il triste stato di abbandono dei trampolini di Pragelato costruiti disboscando mezza montagna ma con l’obiettivo di proseguire nel tempo l’attività agonistica, creare un vivaio di atleti dell’arco alpino occidentale ed affittarli alle squadre internazionali. Già il presidente della FISI Pietro Marocco aveva gridato allo scandalo “per il totale inutilizzo di questi impianti anche nella stagione agonistica”.

Gli amministratori attuali e quelli che hanno promosso e gestito l’evento possono controbattere che è ancora presto per stilare un bilancio finale. Eppure, l’accumulazione di debiti sempre più onerosi non può lasciare indifferente la cittadinanza, specialmente le nuove generazioni che, insieme a figli, nipoti e pronipoti, saranno costretti ad accollarseli.

Nel frattempo, l’amministrazione comunale prova a far cassa vendendo ai privati immobili di prestigio e, soprattutto, fette di territorio potenzialmente edificabile tanto che, nei prossimi vent’anni, la popolazione sarà travolta da una valanga di cemento…

La Costituzione italiana, all’articolo 9, pone tra i Principi fondamentali come compito della Repubblica, la “tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della nazione”. Le nostre città hanno conservato contesti storico-artistici ed ambientali preziosi, paesaggi incomparabili, opportunità uniche per affermare un’alta qualità della vita, che, tuttavia, rischiano di perdere valore per colpa dell’espansione edilizia incontrollata, oltre che dell’invasione del traffico automobilistico.

Uno dei “migliori” esempi di questi rischi è proprio Torino che è stata invasa e sarà ancora invasa da opere di dubbio gusto che portano con sé tanto cemento ed inquinamento.

Negli anni scorsi le critiche più accese si sono concentrate sul piazzale-parcheggio “Valdo Fusi”, davanti alla Camera di Commercio; sul “disboscamento” del Parco Sempione e di Piazza d’Armi, due dei principali parchi cittadini; sull’inutile sottopasso di corso Spezia che ha eliminato decine di alberi; sull’orribile “Palafuksas”, frontale al famoso mercato di Porta Palazzo, che solo da quest’anno, dopo tredici anni di ingloriosa inattività, si è trasformato in centro commerciale; sulle torri “popolari” di via Orvieto, nella cosiddetta “spina 3”, destinate a diventare simboli di degrado moderno: oggi, invece, sull’ambizioso progetto della banca Intesa Sanpaolo di costruire un grattacielo nella zona centrale della città, e sul nuovo Palazzo della Regione, sempre formato –“grattacielo”, ancora una volta a firma di Massimiliano Fuksas.

Sin dalla presentazione del progetto di Sanpaolo nel 2006, sviluppato dall’archistar Renzo Piano, una larga fetta dell’opinione pubblica cittadina si è mobilitata, indignata per il superamento, in altezza, del simbolo monumentale torinese, la Mole Antonelliana. Di risposta, si è provveduto a modificare il progetto originario “sotterrando” alcuni piani per non intaccare il primato della Mole. Anche se, in realtà, l’impatto non cambierà, dato che l’edificio dell’Antonelli termina con una guglia, mentre il grattacielo sarà una struttura compatta e piena.

Un’altra “pietra” dello scandalo è il progetto di costruzione di un palazzone proprio a ridosso della Mole, che, però, almeno questo, pare accantonato.

Il malcontento è diffuso anche in altri quartieri. Nel popolare San Paolo, ad esempio, sono iniziati i lavori per l’erezione di nuovi palazzoni e di un ennesimo centro commerciale, in sostituzione dello storico stabilimento Lancia. Oltre che a creare i soliti prevedibili disagi per residenti ed esercizi commerciali, questo progetto è ritenuto dal comitato spontaneo "Parco Lancia” “insostenibile, se non rovinoso”, perché va ad aumentare paurosamente la densità abitativa di un'area che è già a rischio di congestione, a fronte dell'insufficienza dei servizi primari presenti. Si calcola, infatti, che i nuovi palazzi potranno accogliere seicento famiglie, oltre 1800 persone, in un territorio che registra l'affollamento delle scuole, degli asili e dell'ASL. Senza mai ottenere una risposta positiva, i residenti ed il comitato hanno chiesto, in questi anni, nuove scuole, un asilo, alloggi per le fasce deboli, luoghi di incontro per i cittadini e di ridurre l'area edificabile da 56 a 14 mila mq.

Ma il disagio è manifesto anche in aree più “chic” come quella di Borgo Valentino dove i residenti, appendendo sui balconi drappelli di protesta, si oppongono alla costruzione di un grosso complesso sull'area ex Isvor (stabilimento FIAT) considerandola una “mera speculazione edilizia anche poco redditizia per la Città”. Mentre volantini e manifesti sono stati diffusi nelle vie più importanti per protestare contro la spianata di cemento che ospiterà il nuovo parcheggio sotterraneo di piazza Albarello, storico punto di partenza d’ogni manifestazione e sciopero. A dispetto delle campagne di disincentivazione all’uso dell’automobile, l’amministrazione torinese, infatti, ha moltiplicato esponenzialmente l’offerta di garage sotterranei.

A Collegno, invece, nella prima cintura torinese, sono preoccupati che venga devastato l’immenso verde del Campo Volo. L'area, infatti, pur ricompresa entro i confini del paese, è di proprietà di una Banca e per acquisirla l’amministrazione comunale ha avviato una trattativa con i suoi vertici che riceverebbero, in cambio, delle generose concessioni edilizie. I cittadini, però, temono che vengano “occupate” proprio le aree del Campo Volo.

Notizia delle ultime ore è quella della rinuncia, per mancanza di risorse, al boulevard di corso Principe Oddone - interessato dai lavori del passante ferroviario sotterraneo - che così, collegandosi a corso Mediterraneo, assomiglierà ad un’autostrada cittadina. Un’altra mazzata per le migliaia di residenti che da quasi dieci anni non possono aprire le finestre per rumore, polvere ed inquinamento.

L’ultimo spottone elettorale della giunta Chiamparino s’inscenò lo scorso aprile con l’inaugurazione del Parco Dora. Un’area immensa in cui l’attività decennale delle industrie ha inquinato acqua e terreno e dove si è scelto di non abbattere (perché troppo costoso) i resti dei capannoni industriali preesistenti, in particolare lo scheletro d’acciaio dell’ex Teksid che copre i nuovi campetti sportivi e che, insieme ai piloni arancioni arrugginiti alti più di trenta metri, creano un panorama quantomeno “discutibile”, se non “inquietante”, aggettivo usato da un gruppo di architetti presenti all’inaugurazione. Il “pacchetto” di obiezioni mosse al progetto, sin dalla sua gestazione, si concentrava sull’opportunità di sfruttare quelle strutture, su cui oggi s’arrampicano pericolosamente i ragazzini, per il trasloco dell’ospedale Amedeo di Savoia, ridotto alla fatiscenza, che avrebbe liberato spazio proprio sulla riva del fiume Dora, in una zona ancora più indicata per sviluppare il parco.

Eppure, il progetto che avrebbe dovuto suscitare le proteste più accese è stato celebrato, oltre che dalle autorità, dalla quasi totalità della popolazione. Ci riferiamo al nuovo stadio della Juventus, inaugurato solo tre mesi fa, per il quale si è dovuta approvare una variante che ha trasformato l'area dell’ ex Stadio delle Alpi da area destinata a servizi pubblici a “zona urbana di trasformazione” con la concessione - da parte del Comune di Torino - di 349mila metri quadri per 99 anni al prezzo stracciato di meno di un euro al metro quadro per ogni anno. E, come se non bastasse, è arrivata una seconda variante che ha permesso di costruire, accanto allo stadio, due centri commerciali che la società Juventus ha dato in gestione alle cooperative Cmb, Unieco, Nordiconad. Chi rivendica l’assoluta centralità dell’ “interesse pubblico”, dovrebbe rimarcare, infatti, come, sin dagli sprechi e le morti bianche degli anni Novanta per la costruzione dello stadio dei Mondiali, una vasta area pubblica un tempo agricola (la Continassa al confine con Venaria) - destinata dal Piano Regolatore originariamente a “Verde e Servizi” - è stata completamente affidata ai soggetti privati ed ai grandi operatori commerciali che non le hanno lasciato più un metro di verde. Sempre alla società Juventus è stata praticamente regalata l’Arena Rock della Continassa che, sinora, non è mai stata utilizzata.

Per gli ambientalisti, quella della Continassa è una delle più grandi sconfitte: da immensa area agricola adatta a diventare il primo parco cittadino per estensione, è stata trasformata in una distesa di cemento e supermercati.

Il Piano Regolatore di Torino è, ormai, giunto alla sua “duecentesima edizione”, con l’approvazione, appunto, del progetto preliminare della “variante 200” pochi mesi prima della scadenza di mandato della giunta Chiamparino.

Per le associazioni ambientaliste ed i comitati di quartiere essa non risponde certo all’esigenza di uno sviluppo urbano equilibrato, bensì a quella di far cassa velocemente da parte dell’amministrazione, in concerto con gli interessi privati, attraverso la valorizzazione immobiliare delle aree che vi sono ricomprese. E così la città sarà invasa da torri abitative da venti-trenta piani e nuovi centri commerciali, come se se ne sentisse la mancanza.

Nessun rispetto nemmeno per i morti, dato che la nuova variante sembra fregarsene della cosiddetta “fascia di rispetto cimiteriale”, prevedendo la costruzione di due torri, una da 80 metri e l’altra da 60, e dell’ennesimo centro commerciale da 25mila metri quadri proprio a ridosso del cimitero monumentale.

Per i più critici, infatti, la realizzazione delle seconda linea di metropolitana è solamente una scusa, dato che non ci sono i soldi nemmeno per terminare la prima. L’urgenza dei governatori locali sarebbe quella di riaggiustare il bilancio e, quindi, di vendere il più possibile licenze di edificazione.

Uno dei principali “complici” del processo di cementificazione è lo stesso Politecnico nella persona dell’ingegner Mondini che, con la sua SITI (Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l'Innovazione), è consulente della Città in materia di valutazione ambientale e non manca mai di avallare, se non suggerire, piani di espansione edilizia. Per la generazione di nuovi diritti edificatori si inventano le formule più assurde come quella di “trasferire” capacità edificatorie di spazi in cui è impossibile o vietato costruire in altre aree anche non immediatamente vicine: è il caso del parco Sempione (a cui sono stati strappati 180 alberi come a piazza D’Armi per i lavori del passante ferroviario) a cui è stata assegnata capacità edificatoria da poter trasferire ed aggiungere a quella dell’area della fabbrica Gondrand (periferia Nord) dove si prevede di costruire quattro nuovi palazzoni.

Fra i privati, invece, il ruolo da protagonista lo gioca la famiglia di architetti Ponchia e la loro Gefim (www.gefim.it) che, sin dal 1880, compra terreno da rivendere, ma, soprattutto, può esercitare una forte influenza sull’amministrazione pubblica perché gestisce i diritti edificatori sulle diverse aree FIAT dismesse, essendo proprio una “creatura” della FIAT.

Il governo cittadino conta molto sugli oneri di urbanizzazione, a cui è obbligata ogni impresa costruttrice, che, al posto di trasformarsi in servizi per la cittadinanza, vengono monetizzati per ingrassare le casse.

Ovviamente, soldi ai servizi socio-assistenziali ed educativi-culturali non se ne possono più dare e si è anzi ricorso a tagli drastici: gli asili nido e le scuole d’infanzia, in primis, sono ormai rette da un esercito di precari, alcuni dei quali con contratti della durata di pochi mesi.

Cosa se ne faranno i torinesi di tutti questi nuovi grattacieli (anche nelle aree Michelin di corso Romania e strada Cebrosa, al posto dell’Alfa Romeo di via Botticelli e sull'area ex-Materferro), parcheggi interrati, fra cui quelli mercatali e di interscambio che sono sfruttati in minima parte, ed ipermercati che sostituiscono le ex fabbriche (Esselunga debutterà a Torino prendendosi l’ex Officine Grandi Motori di corso Novara e l’ex Comau di corso Traiano, il Palazzo del Lavoro diventerà un centro commerciale, stesso destino per piazza Bengasi) quando si contano 57000 alloggi sfitti e la popolazione residente è costantemente diminuita negli ultimi vent’anni come i comparti produttivi? Mentre aumenta la “popolazione” di quelli che vanno a frugare dentro i cassonetti, non solo composta da immigrati stranieri, ma anche da torinesi che appartenevano al ceto medio sino a poco tempo fa…A meno che non ci si accontenti di diventare il “dormitorio” di Milano, come già paventato da qualcuno…

Ma le “generazioni post-Olimpiadi” dovranno fare i conti non solo con le “promesse di cemento”, anche con tutte le promesse non mantenute: a parte il sistematico prolungamento temporale di ogni cantiere e l’irrefrenabile impulso a costruire parcheggi sotto i giardini ed i piazzali storici più suggestivi, si possono citare la mancata assegnazione ad O.N.G. ed associazioni interculturali del palazzo che ospitò il comitato organizzatore delle Olimpiadi, ora abbandonato a se stesso; la rinuncia al nuovo centro culturale cittadino presentato con effetti speciali di ogni tipo; la non compensazione delle centinaia di alberi eliminati da piazza D’Armi con i campi di proprietà dell’Esercito che non pare proprio disposto a lasciarli; la presa in giro dei “gianduiotti” (per la loro forma) dell’Atrium, le mega-strutture funzionali alla promozione del circo olimpico e per le quali si erano prospettate diverse soluzioni di riutilizzo sino a che non sono state completamente rimosse senza trovare qualcuno disposto ad acquistarle; e, non per ultima, la mancata riqualificazione dello storico calzaturificio Superga con un poliambulatorio in spina 3, area gravemente deficiataria di servizi assistenziali, ma traboccante di centri commerciali.

Non parliamo, poi, dell’ “affare TAV”; ma tanto, anche in questo caso, ci ha già rassicurato l’ex ministro dei trasporti Matteoli per il quale “ai debiti ci penserà il Futuro”…

* da affaritaliani.it 9 dicembre 2011 (nella foto: Piazza d'Armi e gli alberi fantasma)

lunedì 5 dicembre 2011

Chivasso: Basta Cave! Il danno è per sempre...

Cittadini

il vostro territorio sta per essere di nuovo aggredito dal grande affare cave a Boschetto di Chivasso in località Cene. E' il primo passo.

Capiranno che “si accetta di tutto”. Andranno avanti e cercheranno, di seguito, di aprire nuove cave come è successo altrove. Quando comincia l'escavazione, le case e i campi nel comune in cui si trova la cava perdono valore, il paese perde la sua identità. La tua vita vale meno!

Una cava non ha pietà dei campi vicini né delle case. Mette a repentaglio la falda acquifera, denudandola e diventa un concentratore di inquinanti. Se si riporta materiale è una discarica. Nessuno garantirà che il telo sistemato sul fondo duri quanto richieda la sicurezza della vita dei tuoi cari: una discarica è attiva almeno 100 anni, la tua responsabilità molto di più. L'escavazione comporta rumore, dispersioni di polveri dannose alla salute, camion che portano ghiaia e riportano materiale: le strade diventano pericolose. Il paesaggio si degrada. Gli amministratori restano in carica pochi anni ma il danno resta per sempre. Questa è l'esperienza di molte città italiane.

Ogni anno in Italia per costruire centri commerciali, parcheggi, autostrade, TAV, cavalcavia, ... si consumano 220 metri quadrati al minuto, cioè 30 ettari al giorno, cioè 110 kmq all'anno: questa è la velocità con cui scompare il fertile terreno agricolo in Italia.

Firma la Petizione:

"Basta Cave a Chivasso!

Questa iniziativa è in collaborazione con il Movimento VALLEDORAwww.movimentovalledora.org

*

Sabato 10 dicembre, ore 16 Sala consigliare Piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa

Proiezione del documentario: “Valledora: la terra del rifiuto” di Matteo Bellizzi

Documentario girato nei comuni del Vercellese e del Biellese sui danni prodotti dalle cave. Seguirà dibattito pubblico: Interverrà l’assessore all’ambiente di Chivasso Gianluca Vitale. Durante la serata raccolta firme sulle due petizioni:

“ Basta cave a Chivasso “ e “Salviamo il Parco del Mauriziano”

*

We care, preoccupiamoci di non svendere la Salute Pubblica e difendiamo il nostro Territorio!

MAC, Movimento Ambientalista Chivassese Via Paleologi, 2 Chivasso - movimentoambientalistachivasso@gmail.com

Santhià dopo Tronzano: due no alle cave dal consiglio comunale

Dopo il Comune di Tronzano, anche quello di Santhià dice no alle cave.

In marzo il consiglio comunale di Tronzano aveva votato un ordine del giorno nel quale si dichiarava in linea di principio contrario “al protrarsi di un’attività estrattiva selvaggia e ad un consumo del suolo indiscriminato qual è quello finora verificatosi sul territorio tronzanese”. E in novembre aveva approvato una deliberazione con cui chiede alla Regione Piemonte di fare chiarezza circa la complicata normativa che regola l’attività di estrazione di inerti: se manca la certezza del diritto, come possono le amministrazioni comunali rispondere alle richieste di apertura e ampliamento delle cave? Quali garanzie hanno di non sbagliare?

Martedì 29 novembre è toccato al Comune di Santhià affrontare la questione incandescente della cave: il consiglio comunale ha espresso parere negativo riguardo ad entrambe le richieste pervenute. L’impresa che opera nella cava di Cascina La Mandria chiedeva di poter estrarre altri 3.990.000 metri cubi di materiale, che porterebbero il volume complessivo a 6.300.000 metri cubi su un’area di 483.000 metri quadri. Quella che estrae nella cava Cascina Alba, che si estende anche sul territorio tronzanese, e dove il lago supera la profondità di 45 metri, chiedeva di asportare altri 423.000 metri cubi con un ulteriore approfondimento. Su “La Stampa” era comparsa una lettera (un’intera pagina del giornale) nella quale Piero Candeo, legale rappresentate di Green Cave, ammoniva che un eventuale diniego avrebbe messo a repentaglio il posto di lavoro di 65 dipendenti e di altri lavoratori dell’indotto. In una sala consiliare affollata di cittadini, associazioni, cavatori, giornalisti, forze dell’ordine, il vicesindaco e assessore all’ambiente Angela Ariotti ha esposto diffusamente le ragioni del parere negativo. In primo luogo, Santhià è un nodo ferroviario e viario, grazie al quale potrebbero svilupparsi in futuro attività industriali, artigianali, agricole: prospettive di sviluppo che verrebbero compromesse dall’apertura di un buco di enormi dimensioni proprio ai bordi dell’autostrada. Inoltre, l’ampliamento delle cave provocherebbe un aumento insostenibile del traffico degli autocarri; causerebbe un’ulteriore perdita di terreno agricolo fertile e tanto più prezioso di fronte alla crisi economica che minaccia il futuro delle nostre comunità; accrescerebbe il rischio di inquinamento delle falde acquifere. Infine – ha sostenuto l’assessore - prima di chiedere ampliamenti le imprese dovrebbero portare a termine i recuperi ambientali stabiliti in convenzione; e non sono più tollerabili cave così profonde, fino a 20-30 metri, che non potranno mai venire ripristinate. Sono poi intervenuti il sindaco Angelo Cappuccio e l’assessore allo sport Giorgio Corradini. Quanto alla minoranza, Spagna, Simion e l’ex sindaco Canova, pur condividendo gli argomenti dell’amministrazione, hanno lasciato l’aula al momento del voto, mentre Orto si è astenuto.

In conclusione, due no a altrettante richieste: un pronunciamento che rafforza la posizione dell’amministrazione del confinante Comune di Tronzano, e che allarga il fronte che si oppone all’ampliamento della devastante attività estrattiva nella Valledora.

( Piero Meaglia )

venerdì 2 dicembre 2011

Chivasso (TO) : 1.182.000 euro per una strada inutile !

Spendiamo, per una strada di campagna, 1.182.000 euro ( a preventivo) tra le frazioni Torassi e Castelrosso

Mentre una intera nazione tiene il fiato sospeso aspettando i sacrifici decisi dal nuovo governo Monti, a Chivasso si continua a procedere come se la crisi non ci fosse, andando a spendere più di 1 milione di euro per realizzare una strada di campagna. L'inutile strada è compresa nell'importante progetto RFI per la soppressione dei passaggi a livello. Ma non c'entra nulla!

Viaggiamo su treni indecenti, restiamo delle ore in coda al pronto soccorso, prenotiamo una visita specialistica e dobbiamo attendere dei mesi! Quest'anno scolastico sono rimasti esclusi 49 bambini dalle scuole materne comunali perché mancavano i posti!

La strada è superflua da quando la nuova rotonda ha eliminato le lunghe code su Via Casale a Castelrosso.

La strada è inutile da quando Via Druetti ha trovato sbocco all'interno del sistema rotatorio provinciale!

Noi chiediamo di stralciare questa strada dal progetto RFI e di investire in servizi davvero utili per la collettività.

We care, preoccupiamoci.. di non sprecare il denaro Pubblico e difendiamo il nostro Territorio!

MAC - movimentoambientalistachivasso@gmail.com Via Paleologi, 2 – Chivasso

martedì 22 novembre 2011

Alta velocità Torino-Lione: funziona! E va alla grande

di Debora Billi *

E' con somma gioia che apprendo la notizia dei nuovi collegamenti ad alta velocità sull'asse Milano-Torino-Lione-Parigi.

Davvero una splendida notizia! Con buona pace dei diavoli valsusini, che dovranno fare buon viso a cattivo gioco ed accettare questo treno modernissimo che ci permette finalmente di "entrare in Europa". Ecco la notizia riportata da La Stampa:

A partire dall'11 dicembre, infatti, sulla tratta Milano-Torino-Lione-Parigi ci sarà una coppia di Tgv in più e le corse giornaliere andata e ritorno diventeranno tre invece delle due attuali. Sncf, infatti, ha deciso di aggiungere un convoglio che partirà da Porta Susa alle 12 e 38 minuti con arrivo nella capitale francese alle 18 e 19. (...) Con il lancio di un'offerta commerciale che prevede una nuova gamma di tariffe con prezzi di sola andata a partire da 25 euro in seconda classe.

E costa anche pochissimo!

Ma... un momento: questa non è la nuova TAV che dobbiamo assolutamente costruire perché "siamo tagliati fuori dall'Europa": questa è la linea alta velocità già esistente, quella che già collega Torino e Lione grazie ai TGV francesi. Ed è alta velocità sul serio: ci mette appena 5 ore e 40 ad arrivare a Parigi. Costa anche molto meno delle esosissime TAV italiane.

Insomma, scopriamo con stupore che il collegamento ad alta velocità tra Torino e Lione esiste già. E che quindi la tanto discussa TAV della Valsusa serve ancor meno, probabilmente viaggerà del tutto vuota se già ora i francesi devono cercare clienti praticando sconti. Ancora convinti che il business di tutta la faccenda non sia esclusivamente nel cemento e nelle trivelle?

Non so cos'altro serva per convincervi: forse aiuta l'Economist, che ha appena pubblicato un'inchiesta che dimostra come la TAV sia inutile, costosa e antieconomica. Ma si sa, all'Economist sono tutti comunisti.

* Blog Petrolio uno sguardo dal picco www.petrolio.blogosfere.it 21 Novembre 2011

lunedì 21 novembre 2011

Bussoleno (TO) Imprenditori No TAV


Serata a Bussoleno, sala consiliare venerdì 25 novembre ore 20,45

Nasce ETINOMIA, Imprenditori Etici per la Difesa dei Beni Comuni


Si presenta venerdì a Bussoleno ETINOMIA Imprenditori Etici per la Difesa dei Beni Comuni.

La nuova associazione radunerà e rappresenterà le imprese e le partite Iva che, opponendosi al Tav, lanciano una sfida al concetto che il lavoro debba sottostare a condizioni immorali e ai ricatti del Potere (se vuoi lavorare devi accettare di tradire la tua comunità e la tua terra) o alla retorica di qualsiasi lavoro è buono e giustificato.

venerdì 18 novembre 2011

Tutti a cuccia

di Marco Travaglio *

Povero Monti. Non bastavano le consultazioni con 34 gruppi parlamentari affamati come branchi di lupi, le minacce del Cainano ferito e gli attacchi degli house organ berlusconiani. Ora deve pure fare i conti con la salivazione a mille della stampa “indipendente”, che da quando ha avuto l’incarico non fa che leccarlo dalla testa ai piedi. E, quando ha finito con lui, comincia a incensare la sobria Varese che gli diede i natali, la chioma sobria e argentata, la signora Elsa che rifugge sobriamente i riflettori, la chiesa dove assiste sobriamente alla messa, il portamento sobrio ed elegante, il sobrio ed essenziale eloquio, le battute sobriamente spiritose (“ha sense of humour e anche un po’ di autoironia”, assicura Repubblica), il sobrio “lei” per tutti (ma “senza supponenza”, garantisce Repubblica) e il tu riservato alla sobria Bonino, che anni fa ebbe la fortuna di ballare con lui un valzer, ma – rivela lei stessa – “in maniera sobria”. E poi la sobria “vecchia berlina Lancia” prestata dal Quirinale (“auto italiana”), il sobrio Hotel Forum dove alloggia a Roma, i ristoranti dov ’è solito consumare pasti frugali e naturalmente sobri. Turiboli a manetta anche sui suoi effetti personali: il sobrio “loden verde d’inver no”, il sobrio “pullover girocollo d’estate”, il sobrio “giubbotto blu abbastanza leggero sfoggiato a Roma viste le temperature miti” (Repubblica), il sobrio “abito grigio” che è “la sua divisa”, con una “cravatta blu chiaro sulla camicia bianca” che gli dà un sobrio “tocco di colore”. Per non parlare del sobrio “quadernone formato A4” (La Stampa) dove ogni tanto prende sobriamente appunti (“anche lui ogni tanto scrive”, Repubblica) nel sobrio “ufficetto frugale e di servizio” (La Stampa). E poi i sobri “biscotti avvolti in una carta che celebra i 150 anni dell’Unità d’Italia” offerti ai suoi interlocutori e annaffiati da due sobrie “bottiglie d’acqua minerale, ma una è chiusa perchè manca il cavatappi” (Repubblica). E naturalmente il sobrio cane che gli fa sobriamente compagnia. Dobbiamo a un prezioso ed esclusivo scoop del M e s s a g ge ro la conoscenza della razza precisa del quadrupede, un “golden retriever”, mentre è ancora Repubblica a rivelarci che col medesimo il professor Monti suole intraprendere lunghe “passeggiate nei boschi” nelle sere d’estate che trascorre nel suo “buen retiro in Engadina” tipico del “Montistyle” in “stile anglosassone”. Al momento le informazioni sul fortunato animale si fermano qui, ma secondo indiscrezioni pare sia nato a Cernobbio durante un vertice della finanza che conta, tant’è che il suo nome sarebbe “A m b ro s e t t i ” ( s o p ra n n o m e : Goldman Sax Terrier). Ogni mattina, durante la sobria colazione, il cane Ambrosetti, a un cenno convenuto del padrone, gli recapita con un sobrio “arf arf” una copia croccante del Financial Times, poi si accuccia buono buono, ma soprattutto sobrio, a delibare i listini di Borsa di cui va ghiotto, concedendosi solo qualche sobrio latrato di soddisfazione o di preoccupazione. Esso infatti non abbaia: declama le quotazioni dei titoli azionari. E non morde: lui mònita in sei diverse lingue, in sobria sintonia con il Colle.

Da quando è esplosa la crisi finanziaria, ben conscio della fase drammatica che attraversa il Paese grazie alle tre lauree e ai sei master conseguiti nei college più prestigiosi, il primo cane bocconiano della Storia si è imposto un rigoroso regime di austerity: non scodinzola, non scava, non sporca, non caca, non orina, non tromba e, quando vede un osso, lo ignora accuratamente e sobriamente.
Se ne sta preferibilmente a cuccia, anticipando la sorte che toccherà agli italiani nei prossimi mesi. Ogni tanto, quando il padrone è impegnato, se ne va a zonzo solitario e meditabondo, chino sulle sorti dell’economia mondiale. Lo riconoscete dall’inconfondibile cappottino-loden verde d’inverno
e dalla mantellina girocollo d’estate. Inutile offrirgli qualcosa da mangiare: alla parola “bocconi”, lui pensa subito all’università.

*da Il FattoQuotidiano 16 novembre 2011

martedì 15 novembre 2011

Ordini professionali: Storie di vita vissuta...sulla mia pelle

7 novembre 2011.La scorsa settimana è successo. Ebbene sì: la classica goccia ha fatto traboccare il vaso! Il vaso della tolleranza nei confronti degli ordini professionali. Per cominciare mi presento. Sono Marinella Robba, istruttore direttivo presso un Ente pubblico, laureata in giurisprudenza all’Università di Torino, abilitata all’esercizio della professione di avvocato ed iscritta all’Ordine Nazionale dei Giornalisti (elenco pubblicisti) dal 1995 al 2010. Attualmente sono direttore editoriale del giornale animalista Pelo & Contropelo, attività che svolgo nel tempo libero con una passione infinita. Premesso che oggi sono molto contenta di lavorare per la pubblica amministrazione, anni fa pensavo di realizzare un percorso professionale diverso, che mi ha portato ad avere alcune esperienze deludenti con gli ordini professionali.

Ma partiamo … dalla fine! Come dicevo, una mattina della scorsa settimana mia madre mi telefona dicendo che l’architetto a cui mio zio aveva conferito autonomamente l’incarico per una perizia relativa ad alcuni immobili ereditati pretendeva da lei il pagamento di metà della parcella, altrimenti avrebbe fatto scrivere dall’Ordine degli Architetti. Quando me l’ha raccontato il rancore verso gli ordini professionali, da troppo tempo sopito, si è risvegliato più veemente che mai. Proprio così: adesso il cittadino deve temere la minaccia degli ordini professionali, come se rischiasse provvedimenti disciplinari da un ente con cui non ha niente da spartire. Certamente è una frase d’effetto nei confronti di chi non ha ben chiaro il potere che può esercitare un ordine professionale nei confronti del cittadino non iscritto … cioè zero assoluto. Indubbiamente la letterina dell’ordine professionale non costa come il ricorso per decreto ingiuntivo di un avvocato necessario per ottenere il pagamento della parcella (sempre che sia dovuto!) e se sortisce i suoi effetti perché il malcapitato si spaventa … tanto di “risparmiato” per il professionista! Invece di preoccuparsi tanto della buona fede contrattuale dei cittadini sarebbe molto più utile se gli ordini professionali si concentrassero sulla regolarità fiscale dell’attività professionale svolta dai loro iscritti.

Vi racconto le mie vicissitudini con gli ordini professionali … praticamente una telenovela, che spero abbiate la pazienza di leggere fino in fondo. Dopo aver compiuto la pratica per più di due anni in una redazione, nel 1995 presento all’Ordine Giornalisti Piemonte l’istanza per l’iscrizione nell’elenco pubblicisti, che viene deliberata il 23 marzo dello stesso anno. Per un po’ di tempo collaboro per la rivista Informa Giovani edita dal Comune di Torino. In seguito vinco un concorso pubblico, la rivista cessa le pubblicazioni e io sospendo l’attività giornalistica, perché è difficilissimo trovare una redazione che paghi le collaborazioni. Continuo, tuttavia, a versare regolarmente all’Ordine la quota annuale di iscrizione. Negli anni 2008 e 2009 ricevo un paio di lettere da parte dell’Ordine Giornalisti Piemonte in cui mi veniva comunicato che era in corso la revisione degli iscritti (mai fatta prima!) e che avrei dovuto produrre la documentazione relativa all’attività svolta nei tre anni precedenti, incluse le copie dei documenti fiscali comprovanti i compensi percepiti. Non avendo niente da presentare mi sono subito rassegnata all’imminente cancellazione dall’Albo e non ho risposto alle richieste poiché non avevo niente da dichiarare. Alla fine del 2009, inaspettatamente, mi viene proposto l’incarico di direttore responsabile di una nuova testata giornalistica. Mi affretto, pertanto, a comunicarlo via fax all’Ordine dei Giornalisti, a dare le dovute comunicazioni all’Ente pubblico presso cui lavoravo e a chiedere all’Ordine medesimo il certificato di iscrizione nell’elenco pubblicisti, che deve essere presentato in Tribunale per ottenere la registrazione del periodico. Il certificato viene rilasciato senza alcun problema, al costo di 100,00 euro per “diritti di segreteria”. Il giornale viene regolarmente registrato presso il Tribunale di Torino e io ne divento il direttore responsabile. Fin qui nessun problema. Il 7 gennaio 2010 arriva la doccia fredda. Un ufficiale giudiziario mi notifica la deliberazione di cancellazione dall’Albo per inattività professionale. Notare: il Consiglio Regionale dell’Ordine delibera la cancellazione il 1° dicembre 2009 e il certificato di iscrizione viene rilasciato il 18 gennaio 2010. In seguito mi verrà spiegato che il certificato era stato rilasciato per errore! Peccato che nel frattempo io l’avessi già portato in Tribunale per la registrazione del giornale. Contatto l’allora Presidente del Consiglio Regionale dell’Ordine, Sergio Miravalle, spiegandogli la situazione e aggiungendo, inoltre, che stavo progettando in collaborazione con un grafico libero professionista di dare vita anche ad un periodico animalista, Pelo & Contropelo appunto. Imploro letteralmente di non cancellarmi. Miravalle mi risponde che ormai non si poteva più tornare indietro perché la cancellazione era già stata deliberata. Comunque avrei potuto impugnare il provvedimento presentando ricorso al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Aggiunge anche una frase del tipo «stia tranquilla, anche se ha fatto male a non rispondere alle lettere della revisione, non siamo così cattivi». Rispondere … e per dire cosa? Che non avevo nessuna ricevuta di pagamento? Oppure avrei dovuto presentare dichiarazioni false? Morale della favola: il Consiglio Nazionale respinge il ricorso il 25 marzo 2010. L’impugnazione mi viene a costare più di 300,00 euro di tasse destinate in parte al Consiglio regionale e in parte a quello nazionale. Senza contare gli ulteriori 100,00 euro che il titolare della testata ha nuovamente dovuto pagare per il rilascio del certificato di iscrizione per il nuovo direttore responsabile, perché ovviamente, a seguito della cancellazione, sono stata sostituita perdendo così definitivamente l’opportunità. Per essere esaustiva aggiungo al conteggio le quote di iscrizione versate all’Ordine in 15 anni, praticamente per niente.

Ma la telenovela continua, perché dovevo ancora lottare per Pelo & Contropelo, che per nascere aveva bisogno del suo direttore responsabile e della relativa registrazione in Tribunale. L’art. 41 c. 3 L. 69/63 prevede che non possa più essere cancellato per inattività professionale il giornalista che abbia almeno 15 anni di iscrizione all'Albo. Acquista quindi un diritto incondizionato all’iscrizione a tempo indeterminato. Nelle more del ricorso maturo l’anzianità di 15 anni, perché l’iscrizione era stata deliberata il 23 marzo 1995 e il ricorso viene respinto con decisione del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti n. 46/2010 del 25 marzo 2010. Lo faccio immediatamente presente all’Ordine, ma niente da fare. Mi viene risposto che la revisione era precedente e quindi la norma non era applicabile. In seguito sono venuta a sapere che una pubblicista, iscritta dal 1995 come me, non è stata cancellata anche se non era in grado di produrre la documentazione richiesta solo perché la revisione, in quel caso, era avvenuta dopo il 15° anno di iscrizione (presumo dipenda dalla lettera con cui inizia il cognome). Tutto questo a discapito dell’applicazione dell’art. 3 della Costituzione, che prevede uguali diritti per tutti! Non si capisce inoltre perché proprio 15 anni e non 10 o 20 anni. Sicuramente la norma avrà una sua ratio o almeno si spera! Nonostante le avversità escono i primi numeri di Pelo & Contropelo di cui divento direttore editoriale, ma non direttore responsabile visto che ormai la cancellazione è diventata effettiva. Non mi arrendo e torno alla carica nel dicembre 2010 con una lettera con cui chiedo la reiscrizione all’Albo ai sensi dell’art. 42 c. 1 L. 69/63 che dispone “il giornalista cancellato dall'Albo può, a sua richiesta, essere riammesso quando sono cessate le ragioni che hanno determinato la cancellazione”. Ovviamente allego alla lettera le copie dei primi due numeri del giornale. Non ricevo risposta. Lo scorso ottobre è uscito il sesto numero di Pelo & Contropelo con la mia più grande soddisfazione visto i temi importantissimi che ho trattato (vivisezione, strage di elefanti in Africa, caccia ecc.). Il giornale, che ora ha diverse migliaia di lettori, dalla scorsa primavera è passato dalle iniziali quattro pagine alle attuali otto.

A questo punto è inevitabile una riflessione di carattere generale: così facendo l’Ordine dei Giornalisti di fatto limita l’esercizio della libertà di stampa. Un valore assolutamente da tutelare in una democrazia e che io ho potuto attuare solo grazie al fatto che ho trovato una pubblicista che ha accettato di ricoprire l’incarico di direttore responsabile di Pelo & Contropelo. Ma se non l’avessi trovata? Avrei dovuto rinunciare a dare informazioni sulla sofferenza degli animali, su argomenti che hanno un rilievo sociale e che interessano una buona parte della popolazione italiana.
La mia prima esperienza deludente con gli ordini professionali, risale però al 2003 quando, sostenuto l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, tento di iscrivermi all’Albo degli Avvocati di Torino. Con tutte le più rosee speranze per il mio futuro professionale mi reco all’Ordine degli Avvocati e lì mi viene detto che, essendo dipendente della pubblica amministrazione, per iscrivermi all’Albo avrei dovuto chiedere il part-time al 50 per cento. Immediatamente presento all’Ente presso cui lavoravo l’istanza per la riduzione dell’orario al 50 per cento, che mi viene accordata senza difficoltà. Produco tutta la documentazione all’Ordine degli Avvocati, ma l’iscrizione viene respinta perché nel frattempo era stata emanata la norma che rendeva completamente incompatibile l’esercizio della professione di avvocato con l’impiego pubblico. Norma che riguarda tutti i dipendenti della pubblica amministrazione, eccetto i docenti universitari che pur avendo un contratto di lavoro subordinato con un ente pubblico possono esercitare indisturbati la professione forense (sempre in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione!). Anche in questo caso la deliberazione mi viene notificata tramite ufficiale giudiziario, tanto per enfatizzare un pochino il rigetto (non sembra ma vedersi arrivare a casa gli ufficiali giudiziari fa un certo effetto!). A questo punto, per esercitare la libera professione, non mi restava che rinunciare all’impiego pubblico, con ovvi problemi per il mio sostentamento, visto che quando si avvia un’attività in proprio, senza l’aiuto di nessuno, i guadagni non sono immediati, anzi spesso si fanno attendere non poco e qualche volta purtroppo non arrivano neanche. Scartata questa soluzione, nel mio caso impraticabile (a meno che nel frattempo non mi fosse capitato un pretendente facoltoso da sposare, come è stato suggerito simpaticamente da qualcuno tempo fa a tutte le giovani donne!), decido di avviare l’attività come semplice consulente legale, visto che ormai ero già in part-time e percepivo solo metà dello stipendio. Dentro di me penso «ci provo lo stesso». Ma è facilmente comprensibile come sia penalizzante non poter utilizzare il titolo di avvocato su biglietti da visita e lettere, senza poi considerare la totale preclusione al patrocinio legale. Il tentativo quindi fallisce e devo dire, viste le premesse alquanto scoraggianti, forse non è mai neanche partito! Questo però è un problema che riguarda solo gli avvocati, perché ingegneri, architetti, psicologi, giornalisti ecc. possono iscriversi senza problemi ai rispettivi albi professionali ed esercitare anche la libera professione, dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni dall’ente pubblico presso cui lavorano. Per anni, infatti, sono stata iscritta a quello dei giornalisti pur lavorando nella pubblica amministrazione come impiegata amministrativa. C’è chi mi ha detto «potevi evitare di dichiarare all’Ordine degli Avvocati il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Sei stata poco furba». Mi chiedo perché per restare iscritta ad un albo professionale si sia quasi costretti a presentare carte false e per iscriversi ad un altro si debba omettere informazioni. Mi piace pensare che in Italia si possa ancora agire alla luce del sole, senza sotterfugi. Vorrei che fosse così per tutti.
Marinella Robba