mercoledì 18 aprile 2012

Consumo di suolo: quante nuove case spuntano se si costruisce una strada?


di Elena Donà *

A otto mesi dall’approvazione del nuovo Piano di Coordinamento del Territorio la Provincia di Torino fa il punto della situazione. Il consumo di suolo dal 2006 al 2010 è sceso sensibilmente, ma restano molti nodi da risolvere: come si bilancia l’esigenza di nuove infrastrutture e la difesa del territorio.

Territorio maneggiare con cura”, seconda puntata: a novembre 2011 la Provincia di Torino aveva presentato il nuovo Piano territoriale di coordinamento (PTC2), nato con un obiettivo fondamentale: limitare il consumo di suolo, spesso scriteriato e senza scrupoli, che sta divorando gli spazi verdi dentro e soprattutto intorno alle città e ai piccoli comuni. Nel territorio provinciale, tra il 1990 e il 2006 erano stati consumati 7500 ettari di terreni agricoli: praticamente una seconda Torino. Ora, ad otto mesi dall’approvazione del PTC2, è tempo di fare i primi bilanci.

Partiamo dal consumo di suolo degli ultimi anni, un dato recentemente acquisito dall’ Osservatorio Provinciale con una nuova base cartografica (ortofoto BLOM-CGR, realizzata nell’estate 2010). Fra il 2006 – anno dell’ultimo “volo” effettuato dall’Osservatorio - e il 2010 il consumo medio annuo di terreno è stato di 197,5 ettari corrispondenti ad un aumento percentuale del consumo di suolo del 2,2%. Ancora troppo? Forse, ma si tenga presente che fra il 2000 e il 2006 il valore annuale medio era di 962,5 ettari, pari al 9% di incremento percentuale. A conti fatti, il tasso medio di incremento fra il 2000 e il 2006 era del 2,5. Nei quattro anni successivi, il valore è sceso allo 0,6%.

Consumo di suolo e incremento demografico vanno di pari passo? La popolazione aumenta, ma lievemente: appena 50.000 unità in quattro anni. A pesare invece è l’aumento delle “famiglie”: o meglio, la tendenza a separare i nuclei, dividendosi in unità famigliari sempre più piccole (Nel 1990 il numero medio di componenti di una famiglia sul territorio provinciale era 2,55. Nel 2010 è sceso a 2,28). Insomma, se aumenta l’esigenza di spazi abitativi indipendenti aumenta anche il consumo di suolo per costruirli (anche se, a dirla tutta, il trend di crescita delle abitazioni supera nettamente quello del consumo di territorio). Ma questa tendenza alla “nuclearizzazione” basta da sola a giustificare l’impiego di terreni liberi? Ovviamente no: anche perché non necessariamente una nuova famiglia che si forma necessita di un nuovo terreno “vergine” su cui fare il nido…

A pesare sul consumo di suolo c’è ovviamente l’espansione urbana dovuta a impianti industriali-produttivi (si veda la discussione nata attorno al caso Ikea, per esempio), ma anche due fenomeni importanti, che rischiano di creare un cortocircuito difficilmente recuperabile: più ci si allontana dalle città, più scende il prezzo delle abitazioni in proporzione alla metratura.

Negli ultimi anni c’è stato un progressivo allontanamento dai centri urbani, con conseguente delocalizzazione sul territorio. Nella Provincia di Torino per esempio, le zone che hanno visto aumentare maggiormente il numero delle abitazioni sono proprio quelle “di seconda cintura”, e in particolare il Pinerolese, l’Eporediese e il Chierese, con aumenti compresi fra il 10 e il 20%.

Ma più abitazioni significa anche più infrastrutture? Sì, per forza. Un po’ perché ovviamente nuove aree residenziali chiamano nuovi esercizi commerciali, ma soprattutto perché con la delocalizzazione cresce anche la domanda di mobilità: strade, per esempio. Strade per raggiungere il posto di lavoro, che raramente coincide con il comune di residenza. “La distanza oggi non si misura più in km – commenta Paolo Foietta, Direttore Area Territorio della Provincia di Torino – Si misura in tempi e costi di percorrenza. Nessuno può mettere in discussione il diritto alla mobilità, né la necessità delle infrastrutture (NdR: Nel PTC2 si legge proprio “L’esistenza di una efficiente rete infrastrutturale, stradale e ferroviaria, è condizione indispensabile per lo sviluppo sociale, economico e culturale di una comunità"), ma il problema è evitare che la realizzazione di nuove infrastrutture si tiri dietro una coda di urbanizzazione non prevista, come invece avviene ora”. L’Osservatorio provinciale calcola che l’influenza delle strade sull’urbanizzazione incida fino al 30% sul totale del consumo di suolo.

E cioè, se io costruisco una nuova superstrada perché le infrastrutture esistenti sono già intasate e quasi inservibili, lungo questa nuova strada cominceranno ad accatastarsi case su case per sfruttare il nuovo asse. E in poco tempo siamo punto a capo. Ecco perché in questi anni abbiamo assistito ad un proliferare di circonvallazioni nate per decongestionare le precedenti, seguite però da un aumento di abitazioni lungo le circonvallazioni, con conseguenti nuovi ingorghi, in una spirale destinata a collassare, oltre ad essere economicamente ed ambientalmente insostenibile. (Infrastrutture congestionate si traducono in traffico bloccato, emissioni, inquinamento, Pm10, Pm 2.5, e un evidente peggioramento della qualità della vita). E allora come ne usciamo? Si può trovare un bilanciamento fra salvaguardia del territorio e realizzazione di nuove infrastrutture, comunque necessarie?

Secondo Paolo Foietta si deve. “Bisogna lavorare sulle politiche insediative, che devono concentrare la crescita sui nodi infrastrutturali già esistenti, senza disperdere nuove unità sul territorio (il cosiddetto sprawl). Bisogna impedire che le nuove infrastrutture diventino assi di sviluppo insediativo, come è accaduto fino ad ora. Oltretutto troppo spesso per sfruttare una strada i Comuni hanno creato accessi pericolosi, finendo per compromettere la sicurezza della strada stessa. Gli accessi a raso dovrebbero essere completamente banditi”.

Tutto questo nel PTC2 c’è già, come hanno ricordato anche Antonio Saitta e Ugo Cavallera, Assessore regionale all'Urbanistica, che ha espresso molta soddisfazione per il lavoro svolto. “Lo strumento del piano di coordinamento territoriale è di grandissima importanza – ha dichiarato Cavallera - I Comuni dovranno impegnarsi quotidianamente per riqualificare le aree già compromesse limitando il più possibile nuovi insediamenti sui suoli verdi. I lavori sono in corso. Ora è il momento di passare ai fatti.”

Il Presidente della Provincia Saitta ha poi sottolineato l’importanza dei tavoli di co-pianificazione e sul supporto tecnico che gli osservatori provinciali sono in grado di fornire ai comuni, per aiutarli nella messa in pratica dei principi introdotti dal PTC2. “Per ora siamo soddisfatti di come stanno andando le cose. Si è messo in moto un processo di revisione dei piani regolatori che finalmente mette al centro la salvaguardia del territorio”. Insomma, c’è ancora tanto da fare ma i lavori sono in corso.

Guarda i video della prima edizione di Territorio: maneggiare con cura(novembre 2011)

* da ecodallecitta.it 13 aprile 2012

martedì 10 aprile 2012

Torino: Oltre alle aziende municipali si privatizzano anche i nidi comunali?


Ai Consiglieri/e Comunali di Torino

cc. Al Sindaco della Città di Torino

Alla Giunta Comunale di Torino



Gentile consigliera/e

Le informazioni disponibili sulla vicenda Nidi/insegnanti precarie sono ancora incerte ma sufficienti per destare il nostro allarme su prospettive inaccettabili di privatizzazione dei servizi pubblici locali Naturalmente apprezziamo il tentativo di salvare (almeno temporaneamente) 300 posti di lavoro. Apprezzamento che non è un puro esercizio di retorica: siamo profondamente convinti della necessità economica e politica, sociale ed etica, della difesa del lavoro e dei lavoratori. Ogni nostra considerazione non può prescindere da questo assunto. Ma non possiamo esimerci dal condividere con Lei alcune gravi perplessità circa la natura, le modalità e le conseguenze dell’operazione in atto Nidi/Insegnanti precarie.

Non è ancora chiaro se l’operazione passerebbe attraverso la privatizzazione tout court o se riesca a mantenere nell’ambito del diritto pubblico una funzione comunale che è stata a lungo un vanto della nostra Città. Continuiamo però a vedere l’ Amministrazione Comunale nella difficile condizione di dover sempre scegliere il “male minore”, riducendo la rappresentanza politica alla “riduzione del danno”. Vorremmo invece vederla reagire con la necessaria energia e determinazione contro il progressivo soffocamento finanziario dei comuni, consapevole che questo è il modo con cui si porta un grave attacco all’autonomia locale, garantita dalla nostra Costituzione ed elemento fondamentale dell’identità democratica della Repubblica Italiana. Converrà con noi che si sta attuando una brutale modifica della nostra costituzione materiale, senza il fastidio di dover far esprimere il Popolo sovrano.

I Consiglieri Comunali, eletti democraticamente, non sono solo gli amministratori della cittadinanza, sono anche, nella dimensione cittadina, i suoi rappresentanti. Ed è per questo Suo ruolo pubblico di rappresentanza che Le chiediamo, gentile Consigliera/e, di agire per contribuire a restituire alla nostra Città, e a tutti i Comuni d’Italia, le basi finanziarie per poter svolgere il ruolo che la Costituzione le assegna. Non stiano parlando di puri principi ma di precisi obiettivi: la restituzione della Cassa Depositi e Prestiti alla sua vocazione originaria e l’introduzione della TTF – Tassa sulle Transazioni Finanziarie destinandone i proventi agli investimenti in quei beni comuni che spesso spetta alla amministrazioni comunali di gestire.

Gentile Consigliera/e, Lei già conoscerà i dati sulla Cassa Depositi e Prestiti, la cui imponente liquidità si vuole progressivamente spostare dal finanziamento degli investimenti degli Enti Locali alla speculazione e al finanziamento di quelle privatizzazioni contro cui si è espresso il Popolo nell’ultimo Referendum.

La invitiamo anche a verificare agevolmente a questo indirizzo : http://www.zerozerocinque.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=31&Itemid=54 l’introito della TTF – Tassa sulle Transazioni Finanziarie sulla cui introduzione in ambito europeo il Governo pare tentennare, sotto la pressione delle Banche.

Gentile Consigliera/e, Le chiediamo di far sentire nel Consiglio Comunale, e attraverso il Consiglio Comunale, la Sua voce su questi temi, dando così un contributo alla nostra Città, al livello del dibattito politico, in una parola alla Democrazia.

Il Comitato Locale di Attac

ATTAC

Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie e l’Aiuto ai Cittadini

Comitato torinese – via Mantova 34 – 10153 Torino – www.attactorino.org 9 aprile 2012

domenica 1 aprile 2012

82 mila TIR di rifiuti tossici

di Valerio Valentini *

A Milano, fervono i preparativi per l’Expo del 2015. La ‘ndrangheta è più felice che mai, visto che detiene il monopolio pressoché assoluto del movimento terra in Lombardia, sia nelle grandi bonifiche che nel trattamento di rifiuti. Gaetano Pecorella, presidente della commissione bicamerale d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, ha spiegato che da pochi giorni s’è conclusa un’indagine molto indicativa di quella che è la realtà edile lombarda: in un appalto che è stato analizzato, su 19 imprese coinvolte, 17 avevano legami con le ‘ndrine. Non c’è quindi da meravigliarsi se due ex assessori regionali all’Ambiente, Franco Nicoli Cristiani e Massimo Ponzoni, sono finiti in manette: il primo con l’accusa di corruzione e traffico organizzato di rifiuti illeciti, il secondo per appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta e finanziamento illecito.

Ma per combattere abusivismo edilizio e traffico illecito di rifiuti, nessuno sembra davvero intenzionato a fare sul serio. Ed è così che il 2010, secondo i dati diffusi da Legambiente, è stato l’anno che ha fatto registrare il record di inchieste connesse a reati ambientali: ben 29! I dati ufficiali diffusi dal dossier riguardano solo una parte di queste indagini (12 su 29), ma bastano da sole a dare l’idea della dimensione del fenomeno. Immaginatevi di partire con l’automobile da Milano, in direzione sud, e di arrivare fino a Reggio Calabria. E immaginate di vedere, per tutto il tempo del viaggio, la carreggiata opposta, quella che dalla Calabria porta in Lombardia, completamente intasata di tir. Una coda di autotreni infinita, che non s’interrompe mai, lunga più di 1100 km. Ecco, tutti quei bestioni – contateli, sono oltre 82 mila – sono pieni zeppi di rifiuti illegali, in gran parte tossici.

Sono i numeri ufficiali delle ecomafie in Italia: nel solo anno 2010 gli inquirenti hanno messo le mani su oltre 2 milioni di tonnellate di monnezza e, considerando che ogni tir trasporta in media 25 tonnellate a carico, i conti sono presto fatti. Quello dell’ecomafia è un business che vale 20 miliardi di euro all’anno, cioè 6 miliardi in più rispetto a quanto si potrebbe risparmiare con la riforma delle pensioni firmata Fornero. Soldi che potrebbero andare alle famiglie per bene invece che ai criminali che avvelenano le nostre terre.

Ma se in Italia questi traffici illegali sono possibili è perché le mafie stanno divenendo sempre più potenti e aggressive. Le imprese legate alle cosche, sostenute dai miliardi del narcotraffico e del racket, grazie alla loro concorrenza insostenibile che strangola l’imprenditoria sana risultano vincenti. E in un Paese del genere, che si sta lanciando a capofitto in opere faraoniche come l’Expo e il Tav, nessuno ritiene di dover prendere delle precauzioni per impedire alle mafie di aumentare il loro fatturato assumendo appalti e subappalti. Oggi tutti – Camusso compresa – strepitano in nome dello sblocco degli investimenti, necessari per far ripartire l’economia. “Un Paese che rinuncia ad investire perché ha paura delle mafie – dicono – è un Paese che rinuncia al futuro”. Ma un Paese che ha a cuore il proprio futuro si preoccupa di evitare infiltrazioni mafiose attuando misure preventive serie in grado di allontanare il rischio di veder affidate opere pubbliche a imprese corrotte, come ad esempio l’applicazione della Stazione Unica Appaltante come misura obbligatoria per qualunque ente statale che intenda costruire un’infrastruttura, proposta dalle stesse pagine di questo blog. Risposte, ovviamente, non ne abbiamo avute. Mentre, in un decreto che aveva l’ambizione di “salvare l’Italia”, Monti non è stato capace di inserire neppure mezza riga su eventuali provvedimenti per aggredire l’economia mafiosa.

Semplicemente, domani ci sveglieremo in un Paese in cui ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra sono ancora più forti e ancora più ricche. Scopriremo sulle prima pagine dei giornali che la tratta tra Torino e Lione è stata divisa in segmenti, ciascuno dei quali assegnati a una cosca piuttosto che a un’altra (esattamente come l’ormai leggendaria Salerno-Reggio Calabria) e che i quartieri sorti dal nulla alla periferia di Milano per l’EXPO sono stati tirati su dalle imprese foraggiate dai boss. E allora capiremo che l’illusione di far ripartire l’economia approvando a occhi chiusi investimenti folli si sarà rivelata fallimentare, perché un’economia monopolizzata dalle mafie è un’economia malata, che garantisce ricchezze stratosferiche a pochi criminali e decreta la povertà per il resto della popolazione. Non è un caso che le regioni in cui mafia, camorra e ‘ndrangheta sono maggiormente radicate, risultino le più povere d’Europa, mentre i boss detengono capitali neppure lontanamente immaginabili. Confesercenti ha mostrato come, per quanto riguarda la chiusura delle aziende dovuta alla concorrenza sleale delle mafie, “Milano e il Nord-Est sono le aree più penalizzate, con le banche che tendono a restringere il rubinetto dei finanziamenti e a chiedere rientri immediati dei fidi, mentre i mafiosi sono gli unici a girare con le borse pieni di soldi”.

Ma noi, anziché cercare di recuperare i 65 miliardi di utile in contanti che la Mafia S.p.a. gestisce ogni anno, continuiamo a tartassare i lavoratori, privandoli di pensioni, lavoro e diritti.

* da www.byoblu.com 29 marzo 2012