d i Marina Paglieri ( da Repubblica del 18 gennaio 2010)
La salvaguardia del paesaggio urbano e il rapporto tra questo e la cittadinanza, il consumo e la vendita del suolo pubblico, con la conseguenza spesso di trasformare aree periferiche in non-luoghi. E ancora le forme di controllo democratico da parte dei cittadini sul nuovo disegno urbano, con riferimento alle zone oggetto di trasformazioni a Torino, come i quadranti nord, dalla Variante 200 alle Basse di Stura, e sud, dall´area ex Fiat Avio a Italia ´61. Sono alcuni dei temi di cui architetti, urbanisti, sociologi e antropologi dibatteranno per quattro martedì all´Unione Culturale Franco Antonicelli, nell´ambito del ciclo "Paesaggi urbani: dalla trasformazione al bene comune"..............................................................................
Gli incontri,(il 18 gennaio, 1 e 15 febbraio, 1 marzo) realizzati con il contributo di Fondazione Crt, iniziano alle 21 e sono a ingresso libero (via Cesare Battisti 4b, info 011/5621776, infounioneculturale. org).
Abbiamo rivolto alcune domande su questi temi a Sergio Conti, ordinario di Geografia economica all´Università di Torino (ora distaccato alla Sorbona), già assessore alle Politiche territoriali della Giunta Bresso e coordinatore della Carta del Territorio e del Piano paesaggistico regionale.
Professor Conti, come sta il territorio in Piemonte?
«Guardi, in modo non molto diverso dal resto del nord Italia, dove in dieci anni sono cresciute del 30 per cento le imprese di costruzione e del 60 per cento gli agenti immobiliari, in modo tale che il ruolo della rendita immobiliare è stato e continua a essere dominante, crescendo il doppio rispetto al tasso di sviluppo dell´economia italiana».
Come si spiega questo fenomeno?
«Con il fatto che la trasformazione di un suolo agricolo in residenziale, industriale o commerciale decuplica il suo valore iniziale. In precedenza erano i privati a gestire questo processo, adesso sono soprattutto gli enti pubblici, i comuni che non hanno i soldi per illuminare le strade e, senza nemmeno più gli introiti dell´Ici, si mettono in vendita. In Italia il consumo del suolo ha il tasso più alto d´Europa».
E la situazione torinese?
«A Torino, al contrario di quanto è successo all´inizio degli anni 90 nella "Greater London", quando si decise di non consumare più suolo, si sono trasformate le ex fabbriche non in spazi per i servizi o in giardini, ma in aree residenziali o commerciali. Ci troveremo tra un po´ di anni con aree non più industriali ma commerciali dismesse, a un certo punto questi centri si svuoteranno, ce ne sono troppi. L´ultimo è quello che sorgerà a Palazzo del Lavoro, a Italia ´61. Un edificio che certo non era nato per quello scopo. Basta però fare denunce, è ora di prendere seriamente delle decisioni».
In che senso?
«In due direzioni. Intanto perseguendo una programmazione intercomunale nelle politiche di sviluppo, poi prevedendo una seria riforma fiscale, che metta le comunità territoriali nelle condizioni di essere autosufficienti e non le costringa a vendersi pezzi di città».
Perché almeno non si cerca di salvaguardare la qualità?
«Sono proprio le difficoltà finanziarie a portare una città come Torino a non rispettare un processo organico di sviluppo, basti pensare a quante varianti sono state fatte a oggi al Piano regolatore».
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