venerdì 24 giugno 2016

Perché ha vinto l’Appendino



di Vito Ferro * 

L’analisi dei commentatori politici (e non) dopo il voto di domenica si è concentrata, per comprendere e motivare una sconfitta che – a troppi – appare incomprensibile, sulla differenza abissale tra centro e periferia, sul distacco creatosi tra queste due Torino, dicotomia che, ricordo, è stato il leitmotiv della campagna elettorale di Chiara Appendino nonché il punto focale nel suo discorso ad investitura compiuta.
E allora parliamone, di periferie. Credo di poter dire qualcosa al riguardo. Sono nato e cresciuto alle Vallette di Torino. Estrema periferia nord della città. Quartiere sorto negli anni ‘50 come dormitorio per i lavoratori della Fiat.
Nonostante le intenzioni urbanistiche progressiste, le Vallette, così come Falchera, è un esperimento fallito. Avrebbe dovuto essere un’oasi verde dove i ceti più poveri avrebbero potuto vivere dignitosamente. Da subito è divenuto un ghetto.


L’analisi che fa Diego Novelli sulle Vallette, che pretende di essere distaccata e lucida, è superficiale, capziosa, incompleta, molto incompleta. Cercherò di spiegarvi perché.
Novelli concentra tutto il suo ragionamento su un aspetto “politico”: in sintesi dice che la mutazione antropologica del Partito ha creato un distacco tra politica e cittadini, le sezioni venivano chiuse e quelle attive non sempre aperte tutti i giorni feriali.
Alle Vallette, quindi, da che “nei primi anni Settanta era nato tra i primi comitati di quartiere spontaneo che vedeva promotori i compagni della sezione del Pci, i frequentatori del circolo Arci, con gli amici della parrocchia molti dei quali militanti della Dc” e i cui abitanti “alle amministrative del 1975 e del 1980 votarono in massa per il Pci che aveva un ruolo egemone, operando sulla realtà (asili, scuole materne, servizi sociali, tempo libero). Per aggregare con lo sport i giovani e le stesse famiglie” si passò, per via del distacco creatosi col Partito (che era, appunto, mutato, operando la famosa “svolta della Bolognina”) pian piano e inesorabilmente “al formarsi di piccole fazioni correntizie, molto impegnate a farci la guerra vicendevolmente”.
Perciò, conclude Novelli, ora il voto in massa all’Appendino delle Vallette è semplice voto di protesta: ingenuamente da sinistra contro Renzi e il partito locale, nostalgicamente da destra in quanto reazionarie camicie nere e leghisti esaltati per la sconfitta del Pd. Questo voto di protesta “ha prodotto una miscela esplosiva con l’illusione del cambiamento”.
Nella ultime quattro righe dell’analisi, Novelli cita, senza approfondire e rimandando ad un’inchiesta su “Nuovi Argomenti” di luglio, i risultati di uno studio epidemiologico che dice che tra abitanti della collina e quelli delle Vallette vi sono 4 anni di differenza nell’aspettativa di vita: in piazza Hermada si muore in media a 82,1 anni, alle Vallette a 77,8. “Le diseguaglianze sociali sono causa determinante di malattia” sentenzia Novelli. E con questa frase lapidaria chiude il suo articolo.

Ora cercherò di spiegare perché Novelli è stato superficiale, capzioso, incompleto.
Innanzitutto omette molti, moltissimi dati. Non dice ad esempio che negli anni, alle Vallette, sono stati costruiti: un carcere, le cui condizioni di vita sono impossibili; un mattatoio comunale; un mercato del pesce di cui si è occupato addirittura Guariniello per “gravi carenze igienico-sanitarie” (topi e piccioni morti: ma era risaputo, io lo scoprii svolgendo un’inchiesta video anni fa); una casa di cura psichiatrica, che ho avuto modo di visitare in quanto ci finì mio nonno e che era, a tutti gli effetti, un manicomio pre-Basaglia, pieno di malati lasciati soli, alcolisti, tossicodipendenti, vecchi con demenza senile; la principale discarica a cielo aperto d’Italia, la Barricalla, il cui odore dolciastro e acre avvolge le Vallette quando tira vento; una centrale di teleriscaldamento mostruosa; un dormitorio per senza fissa dimora; un palazzetto per eventi ora in rovina; un’arena rock mai utilizzata e costata parecchio; un parco, anch’esso molto costoso, abbandonato a se stesso; una orrenda linea tramviaria che ha deturpato e tagliato a metà il quartiere; una piazza principale spoglia, brutta, assolata; un posteggio per i giostrai; Novelli non dice che la Continassa, prima che passasse, svenduta dalla appena scaduta giunta, alla Juventus (insieme a moltissimi ettari di terreno con la promessa di costruire in cambio per il quartiere un “giardinetto”), era pericolante dimora di sbandati ed extracomunitari; non dice che uno degli insediamenti rom più antichi della città si è, ciclicamente, riproposto nei prati del quartiere (da che ne ho memoria io, da bambino, gli zingari in quartiere ci sono sempre stati); non parla del fatto che alle Vallette manchi, da sempre una biblioteca comunale, figuriamoci una libreria; sorvola sul fatto che i servizi sono assenti dalla fondazione del quartiere, e i pochi rimasti, boccheggiano; non parla dell’amianto nelle case popolari che falcia anziani su anziani: per saperlo mi è bastato andare dal medico della mutua (a Lucento, ovviamente); trascura il fatto che di giorno come di notte nei vialoni che delimitano la zona passeggino prostitute; dimentica che il sabato il piazzale antistante il mattatoio diventi una stazione per i pullman che arrivano dalla Moldavia, dalla Romania e dai paesi limitrofi, e si improvvisi una sorta di suk spontaneo di merci e cibi; ignora che l’unica proposta culturale provenga da Stalker Teatro i cui fondi vengono, anno dopo anno, drasticamente tagliati; non sa o fa finta di non sapere che non c’è un cinema, un centro d’incontro per giovani, una ludoteca, un luogo di accoglienza per i ragazzi; sorvola sul fatto che negli anni, la popolazione anziana del quartiere (la maggioranza) è stata elettoralmente comprata costruendo prefabbricate bocciofile; non vede a quante poche bancarelle si sia ridotto il mercato rionale; evita di dire che la parrocchia e i beni da essa posseduti (notevoli) vengono da sempre gestiti in maniera manageriale: quando avevo 16 anni, in oratorio si entrava se si faceva la  tessera e si pagava per affittare i campi di calcetto o per vedere le partite su Sky; Novelli parla di ruolo egemone del Pci che ha agito “operando sulla realtà (asili, scuole materne, servizi sociali, tempo libero)”: peccato che non conosca come sia degenerata la situazione delle scuole e dei servizi sociali in quartiere, non sia mai stato nelle Medie (Quasimodo e Orione) degli anni ’80 e ’90, non abbia visto che sorta di riformatorio erano, con pluriripetenti di 16/17 anni ancora in prima media, altissimo abbandono scolastico, aggressioni, violenze, portatori d’handicap abbandonati a se stessi e alle famiglie e un corpo docenti in massima parte ridicolo; non comprende che i servizi sociali hanno da sempre trascurato le tante forme di disagio familiare e mai, dico mai, hanno assunto un atteggiamento di premura nei confronti della cittadinanza; si scorda del tributo pagato dal quartiere alla droga; come fa a non leggere i dati della disoccupazione, soprattutto giovanile (antico retaggio di un’infamia escludente che non dava lavoro a chi diceva di provenire dalle Vallette?), come può non rendersi conto che dal brutto, dal trascurato, dall’abbandonato a se stesso, dalla mancanza di mediazione a 360° non possa in nessun modo nascere partecipazione, bellezza, senso di comunità?

Novelli non è mai stato dentro i palazzoni popolari dell’Atc, non ha mai respirato l’odore negli androni, in ascensore, non ragiona sulla bruttezza di queste case;  non ha mai osservato gli orti abusivi, i prati incolti, i beni comuni vandalizzati, le manutenzioni assenti; non ha seguito l’involuzione del quartiere nel tempo, il suo spegnersi lentamente, avvolto dall’apatia e dall’inedia, il suo invecchiare escludendo possibilità di azione, progetti, partecipazione: da dormitorio a ospizio; negli ultimi anni, infatti, che le Vallette non sono più cuccia di lavoratori ma enorme casa di cura a cielo aperto, dal momento che l’attrito sociale e la devianza si sono drasticamente smorzate, perché i giovani rimasti sono pochi (e quasi tutti disoccupati cronici e depressi), ancora meno è apparso necessario a politici e fini pensatori come Novelli intervenire per operare un cambiamento, una trasformazione, una rivitalizzazione: d’altronde, perché mai, dal momento che non ci sono neanche più quei pochi a chiedere, protestare, lottare?
Novelli, tutta questa realtà, la liquida come “diseguaglianza sociale”. Una formuletta. Una parolina magica. Che copre tutto, tutto avvolge e non dice nulla. Per lui, poi, è tutta colpa del fatto che abbiano chiuso le sezioni di partito, e il risultato è il voto di protesta, la stupida, sorda, ingenua “illusione del cambiamento”.
Facile, eh, come analisi. Facile e scorretta, viziata dalla solita, immortale arroganza della sinistra da salotto.
Per lui, la conseguenza ultima dell’allontanamento del partito dalla vita sociale del quartiere sono solo “piccole fazioni correntizie, molto impegnate a farci la guerra vicendevolmente”. Tutto qui: le fazioni che si fanno guerra! Non la pluriennale gestione scriteriata della circoscrizione (con tra l’altro l’ultima giunta – Presidente Pd compreso – indagata per riunioni fantasma per cui tutti percepivano rimborsi) che ha sempre e tenacemente trascurato le Vallette e mai sostenuto iniziativa alcuna, se non di facciata e col contagocce (e questo quando vi era un amministratore locale “illuminato” che aveva qualche margine di manovra individuale, ma mai scelte organiche, durature, strutturate).
Oggi, per i commentatori di sinistra, quindi l’analisi è questa. Un popolo stupido, ingenuo, manovrato da forze occulte che si è lasciato abbindolare con “l’illusione del cambiamento”. I commenti sono pieni di parole come “paura”, “catastrofe”, “disastro”, “rovina”. Ma permettete che vi mostri una foto:
Questa immagine, sfocata e buia (così stridente da quelle brillanti, patinante, in pizzerie chic e con l’hashtag pd #NoiAbbiamoVotatoFassino), ritrae un gruppo di cittadini del mio quartiere, quello dove sono nato e cresciuto e vissuto per più di trent’anni. Guardatela bene: cercate di decifrare volti, atteggiamenti, espressioni. Quando parlate di “paura”, commentando la situazione da oggi in avanti, queste persone dovrebbero rappresentare l’oggetto della vostra paura.
Al centro c’è Deborah Montalbano: è un’attivista del Movimento Cinque Stelle, è stata eletta consigliere comunale, la prima donna consigliere comunale che proviene dalla Vallette. È una ragazza dinamica, un po’ rude nei modi, la cicca sempre in bocca, la voce roca. Lavora nel bar della piazza del mercato del quartiere, quello che una volta si chiamava Cantine Pia (il posto dove nel mio romanzo Festival Maracanã ai protagonisti viene in mente l’idea del festival). Si è spesa tantissimo: in quartiere tanti le vogliono bene. Queste persone sono state ritratte nella notte di domenica fuori dalla scuola elementare Gianelli, la mia scuola dell’infanzia, dietro al capolinea dei pullman. Stanno aspettando lo spoglio delle schede e i risultati.

A voi non dirà nulla questa foto, a me tantissimo. In mezzo a loro, tra i tanti che conosco, c’è una persona: si chiama Sergio, è un amico, non più giovanissimo e che mi conosce da prima che nascessi, amico dei miei genitori allora neanche sposati. Sergio è un batterista ed io e mio fratello suonammo con lui per diversi anni. Rappresenta una delle figure più folcloristiche del quartiere. Tutti lo conoscono e lui conosce tutti. È un uomo mite, piccolino, spesso un po’ schernito per via di un difetto fisico, una di quelle figure tanto spesso presenti nei paesini e nei quartieri popolari, che raccolgono simpatia ma poi li si considera poco.
Sergio è un amico ed è anche un simbolo. Di un piccolo, concreto riscatto.
Sergio, come tanti nel quartiere, ha potuto partecipare. Per la prima volta. Finalmente. Lo vedevi al banchetto (perenne, in pratica) dei Cinque Stelle in piazza Montale, discutere, dire la sua, fermare le persone, chiedere di firmare o prendere un volantino A Sergio, come a tutti gli altri, nessuno mai aveva chiesto: “vuoi partecipare?”. Mai. Ma mai mai. Sempre escluso, da tutto, da ogni benedetta scelta, iniziativa, proposta. Sempre tenuto ai margini, continuamente ignorato, costantemente scavalcato. Con spocchia, arroganza, cattiveria.
Fino ad oggi. Oggi che è stato semplicemente accolto. Eccola la parola magica vera: accoglienza. Il Movimento Cinque Stelle ha vinto, e nella mia circoscrizione in maniera schiacciante, perché ha accolto. Le persone, tutte, e le loro idee.

Io non sono un attivista del Movimento, magari non lo è neanche Sergio (sinceramente non lo so), ma il “miracolo” a Torino non è stato un miracolo. Ci si è semplicemente ripresi una voce, un ruolo, un agire che mai ci erano stati concessi prima. Nessun partito, Pd in primis, ha mai voluto e cercato di accogliere le persone come hanno fatto i 5 stelle. E lo sa bene chi ci ha provato, in passato, con forza e tenacia e pazienza: io, ad esempio.

I Cinque stelle invece, sono partiti da un semplice, banale, presupposto: sul territorio che vivo, io sono il primo a dovere e potere dire la mia. In prima persona, senza ostacoli, barriere, filtri, gerarchie. E dico la mia perché lo conosco, il territorio che vivo. Lo abito, ci lavoro, ho le mie relazioni, i miei affetti, i miei ricordi, il mio futuro.
Il tanto dileggiato uno vale uno, fa meno ridere se si trasforma in “il voto di Sergio vale quanto quello di Novelli”. Il Novelli che parla, anche di Sergio, e analizza senza sapere e senza volere realmente capire.

Sento e leggo tanti commenti indignati, spaventati, snobistici: non voglio entrare in queste discussioni. Non voglio cambiare idea a nessuno. Io so le cose come stanno, soprattutto nella periferia che conosco bene (e non solo la mia). Ho cercato di spiegarlo con questa nota. Mi basta questo. Ma una cosa la voglio dire, ai commentatori che nulla sanno di periferia e però parlano, parlano, parlano: andate tutti a fare in culo, a nome mio e di Sergio.

·         da www.scrittoreadore.wordpress.com  - 21 giugno 2016