martedì 24 dicembre 2013

Rivalta: Un bando per riconvertire in agricoli i terreni edificabili



Non si costruisce più e i proprietari spesso sono strozzati dalle tasse

In località Gerbole diversi terreni erano passati a edificabili, poi la crisi ha lasciato alle sue spalle solo tasse da pagare

A Rivalta non si costruisce più e i proprietari chiedono al Comune di ritrasformare in lotti agricoli i terreni edicabili. La crisi si fa sentire anche cosi e quella che poteva essere una buona opportunità è diventata una tagliola scale impossibile da sopportare. 

L’amministrazione comunale, nell’ambito di una campagna per la riduzione del consumo del suolo, ha deciso di lanciare un bando pubblico per la rinuncia ai diritti edificatori che ha permesso di recuperare oltre 23 mila metri quadrati di terreno.  Il Comune ha così voluto intercettare il malcontento di quei cittadini, proprietari di piccoli lotti dislocati in zone periferiche, che si sono visti modicare la destinazione d'uso delle loro terre dall'ultimo piano regolatore.  Tutti cittadini che inizialmente pensavano di aver fatto un grosso affare, ma quando hanno visto i conteggi dell’Imu hanno cambiato subito idea: "Noi siamo proprietari di un appezzamento incastrato fra realtà commerciali, dove si può costruire ben poco spiega una coppia di Gerbole — In compenso, dobbiamo pagare fior di tasse ogni anno".  Nelle casse comunali, quest’anno, entreranno meno di 500 mila euro di oneri di urbanizzazione, minimo storico degli ultimi anni e, in questo momento, aspettare l’annunciata ripresa non è facile. 

Per il momento alla campagna per stoppare la cementificazione hanno aderito «solo» cinque proprietari, ma non è escluso che nei prossimi mesi l’iniziativa venga riproposta e ottenga nuovi consensi.  «Si tratta comunque di un risultato lusinghiero per un’amministrazione che ha fatto della difesa del suolo uno degli obiettivi di mandato», commenta l’assessore all’Urbanistica, Guido Montanari. Che poi entra nel dettaglio: "Ora le richieste presentate dai cittadini verranno vagliate e, se non ci saranno ostacoli, verranno inserite nella variante al piano in corso di elaborazione».  L’obiettivo è sempre lo stesso: «Rendere Rivalta più vivibile e meno esposta ai processi di cementificazione che l’hanno devastata negli ultimi decenni".

 m.mas.  da La Stampa ( pag. Torino )   12 dicembre 2013

lunedì 23 dicembre 2013

Torino: Gtt privatizzata coi voti di Sel



Per un solo voto e dunque grazie al contributo di una consigliera d’opposizione, Federica Scanderebech, il consiglio comunale di Torino ha approvato la vendita del 49% di GTT, azienda comunale della mobilità. Tra i voti favorevoli quello di Marco Grimaldi di SEL, mentre il capogruppo del partito di Vendola, Curto, era assente. Anche a Torino la sinistra del vorrei ma non posso dà il suo contributo alla svendita del trasporto pubblico locale. A Genova, dopo che il segretario di SEL aveva annunciato che, in caso di privatizzazione, il Partito sarebbe uscito dalla maggioranza e avrebbe ritirato il suo assessore, i vendoliani hanno dato il meglio di sé, prima accusando i lavoratori delle aziende partecipate di ‘squadrismo’ (dopo l’occupazione del consiglio comunale del 19 novembre), poi votando uno a favore e uno contro la delibera privatizzatutto voluta dal PD e dal sindaco Doria. Sul sito di Nichi Vendola si legge:
‘Per noi valorizzare il trasporto pubblico vuol dire offrire una risposta concreta alla crisi in corso. Partiamo da una situazione nella quale il settore dei trasporti, quello pubblico in particolare, affianca al suo storico deficit strutturale gli arretramenti arrecati dai tagli che si sono susseguiti in questi ultimi anni, tra leggi finanziarie e patti di stabilità che lo hanno praticamente azzerato. Inoltre, le privatizzazioni delle più importanti aziende di trasporto pubblico hanno finito per peggiorare sia il rapporto tra tariffe e qualità, sia la distribuzione geografica dei servizi offerti. Basti pensare a Trenitalia e al taglio dei treni, concentrato particolarmente al Sud, e ha portato all’eliminazione di molti treni, in specie notturni ed economici, nord-sud e viceversa’.

Ma il leader di SEL si è dimenticato di aggiungere una postilla, che ci permettiamo di aggiungere noi:
‘Tutto questo ragionamento è valido purché non metta in discussione la nostra alleanza col PD e i nostri posticini nelle giunte e nei consigli d’amministrazione’.

da   www.contropiano.org - fonte: associazionecontrocorrente.org 21 dicembre 2013

domenica 15 dicembre 2013

Piemonte: il disegno di legge che fa l’esclusivo interesse dei cavatori



In Piemonte le attività estrattive sono per volume e numero tra le più rilevanti in Italia (più di 470 cave attive a cui vanno aggiunte le oltre 310 cave dismesse o abbandonate) così come elevato è il giro d’affari legato al ciclo del cemento. Attività queste che interessano fortemente il paesaggio e la qualità dei territori in cui si svolgono e sollecitano ragionamenti che riguardano il rapporto con una risorsa non rinnovabile come il suolo e la gestione dei beni comuni, oltre ad essere un settore che fa particolarmente gola alle ecomafie.



Nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Torino, Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta e Libera Piemonte hanno presentato le proprie osservazioni al Disegno di Legge Regionale n. 364 “Misure urgenti di semplificazione delle norme regionali sulle attività estrattive. Modifiche alle leggi regionali in materia di cave e torbiere”.


“Sia la normativa nazionale che quella regionale sono state formulate in una prospettiva sviluppista che immaginava la domanda di inerti in crescita costante, le risorse abbondanti e le criticità ambientali scarse –ha spiegato Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Questo approccio non ha consentito di affrontare, con un’attenta pianificazione e una conversione all’efficienza, la crisi economica e il conseguente crollo della domanda. Le normative in vigore dovrebbero essere riformate tenendo conto dell’innovazione tecnologica che, anche nel settore dell’edilizia, permette di porre un freno alle nuove escavazioni, favorendo il riutilizzo dei materiali e creando nuove imprese e lavoro nell’ambito della green economy”.


Ad oggi il quadro normativo nazionale è fermo al Regio Decreto del 1927 e l’attività estrattiva in Piemonte è regolamentata dalle leggi regionali 69 del 1978 e 44 del 2000, norma, quest’ultima, che prevede l’adozione di Piani delle Attività Estrattive a livello provinciale. Pianificazione territoriale disattesa dalla maggior parte delle Province e dalla Regione che non si è mai neanche dotata di un piano di recupero ambientale delle cave dismesse o abbandonate.

Cavazione, discariche e cemento sono oltretutto i settori più infiltrati dalle ecomafie, così come denunciato da Legambiente e Libera e come confermano le numerose indagini delle Forze dell’Ordine. Il ciclo illegale del cemento in Piemonte è caratterizzato da una forte presenza di interessi mafiosi, come testimoniano importanti inchieste e operazioni messe in atto dalla Magistratura.

Una su tutte l’inchiesta Minotauro che ha confermato il radicamento della ‘ndrangheta calabrese in ampie parti del territorio piemontese. Nella regione, solo nel 2012, le Forze dell’Ordine hanno accertato nel ciclo del cemento 199 infrazioni, sono state denunciate 260 persone e sono stati effettuati 15 sequestri. L’impegno di Libera in Piemonte su questo tema parte dall’omicidio Marcoli a Romentino (NO) del 20 gennaio 2010 che attraverso le indagini delle forze dell’ordine ha fatto emergere come sulle cave ci siano interessi e metodi mafiosi.
“In ragione delle infiltrazioni delle organizzazioni criminali nel settore stupisce che nel disegno di legge non siano state introdotte norme cogenti che privilegino le imprese virtuose ed escludano quegli imprenditori o aziende che hanno più volte violato disposizioni ambientali, tributarie o penali –ha dichiarato Maria Josè Fava, referente di Libera Piemonte-. Appare altresì inopportuno che venga a mancare la proporzionalità delle sanzioni nel caso di attività di coltivazione di cave o torbiere in difformità dall’autorizzazione rilasciata. Anche il problema del controllo e della vigilanza non è affrontato nel disegno di legge come sarebbe necessario ed auspicabile, istituendo appositi uffici a livello provinciale e destinando loro le giuste risorse economiche”.


Nelle osservazioni viene sottolineato come l’assenza di pianificazione provinciale sia particolarmente grave perché, di fatto, demanda ai Comuni un’eccessiva discrezionalità decisionale in assenza di qualsiasi tipo di riferimenti su quanto, dove e come cavare.

L’eccessiva delega ai Comuni, già oberati di incarichi e privi di risorse e competenze ridurrà la già scarsa capacità di verifica del rispetto dei disciplinari di concessione e/o degli abusivismi.

Non sussistono più ragioni credibili per non ridurre in maniera significativa il prelievo da cave attraverso il recupero e il riutilizzo degli inerti provenienti dall’edilizia ma semmai l’urgenza di procedere in tale direzione attraverso regole chiare, ferme e una giusta tassazione –ha sottolineato Fabio Dovana-. Occorre quindi ridefinire l’incidenza sul territorio di tali attività, riducendone l’impatto rilevantissimo, anche sotto il profilo paesaggistico, e restituendo alla comunità, e non al mercato, la ponderazione della misura. Questa profonda innovazione nel settore è già perseguita con successo in altri Paesi europei dove la quantità dei materiali estratti è stata ridotta attraverso una politica di riutilizzo di inerti provenienti dal settore edile”.


In Italia viene riutilizzato o riciclato soltanto il 10% circa di materiale a fronte del 95% circa dei Paesi Bassi o della Danimarca; la scelta italiana di non riutilizzare e riciclare comporta la necessità di maggiori volumi a discarica (e dunque favorisce l’incremento di escavazioni).

Per invertire questa tendenza sono necessarie leggi che favoriscano l’utilizzo consistente di inerti provenienti da operazioni di recupero (e l’obbligo per tutte le opere pubbliche). In particolare è necessaria la revisione dei canoni di concessione, irrisori rispetto al margine di profitto conseguito in questi anni dalle imprese del settore e ulteriormente ribassato in questa proposta di legge.

Se ad esempio la Regione Piemonte applicasse i canoni in vigore in Gran Bretagna (la tariffa più alta in Europa) le entrate regionali per la sola estrazione di sabbia e ghiaia si attesterebbero intorno ai 33,5 milioni di euro a fronte dei 5 milioni di euro di oggi.


Una delle proposte di Legambiente e Libera è quindi quella di prevedere canoni di concessione maggiori per il ricorso a materiali inerti e minori per chi ricorre a materiali di recupero. Inoltre, relativamente alle attività di cavazione in aree protette, le associazioni propongono che i canoni siano maggiori di almeno il 30% rispetto alle restanti aree.

“Con il disegno di legge 364, anzichè andare in questa direzione –denunciano le associazioni- la Regione Piemonte abbassa ulteriormente i già irrisori oneri di concessione senza nemmeno introdurre alcuna diversificazione tra tipologie estrattive e materiali.”

“E’ una scelta miope volta esclusivamente alla riduzione dei costi fissi di impresa semplicizzando pericolosamente le procedure di autorizzazione. Una direzione assolutamente priva del pubblico orizzonte”.


Legambiente Piemonte e Val d’Aosta e Libera Piemonte


                                                                       ( da salviamoilpaesaggio.it 5 dicembre 2013 )

Piemonte: terra di confine dello scontro sociale






di Massimo Marino  *


Che Torino e il Piemonte siano stati, un po’ sorprendentemente, uno dei punti di maggiore tensione di queste giornate di “ proteste dei Forconi “ di metà dicembre, ma anche di altri momenti accesi di contestazione del sistema politico sempre più spesso identificato sommariamente come “la casta” non deve stupire. 


Siamo nella regione dove sono saltati i mezzi toni, le sfumature, le mediazioni, in definitiva, il dialogo sociale. Si va allo scontro più che al confronto: TAV, Inceneritore e Grattacielo di Torino, tramonto della Fiat e dell’automobile con il loro indotto, esplosione dei Centri Commerciali e decimazione  delle attività commerciali di strada, devastazione dei territori agricoli come i 3 km di cave e discariche ininterrotte e allineate in fila come denunciano in Valledora, crisi del sistema sanitario e chiusura contestata di  presidi ospedalieri  locali, comparsa di forme organizzate di criminalità mafiosa (vedi l’inchiesta Minotauro ), una cementificazione mai arrestata e indifferente al colore politico delle giunte, il Piano Regolatore di Torino del quale si sono abbondantemente superate le 200 varianti e per finire e non farla troppo lunga,  un Consiglio Regionale con 43 su 60 membri  inquisiti con varie ipotesi di reato compresi il vincente Cota e la perdente Bresso. Per di più, a 3 anni dal voto regionale,  si riconosce di fatto irregolarità gravi nelle liste minori della coalizione vincente di centro-destra, ma anche problemi nella coalizione perdente. Tutto ciò per indicare che nel Piemonte le cose si muovono con una velocità ed una tensione che lo rendono un caso forse unico nel panorama pur tormentato del paese.  


La TAV è la madre di tutte le battaglie. Il progetto nacque 20 anni fa, è cambiato infinite volte ( nacque come sistema veloce per passeggieri poi si trasformò in prevalenza in sistema che dovrebbe movimentare merci ) ed ha cambiato più volte ipotesi di percorso; ma resta prima di tutto il progetto di un grande buco di più di 50 km fra le strette valli valsusine che hanno già sopportato a stento all’epoca l’autostrada della SITAF verso la Francia. La validità tecnica del progetto è cosa di cui non si discute quasi più. Il movimento NOTAV, che nella valle ha consolidato il sostegno attivo e militante della maggioranza, che nei momenti più importanti è in grado di raccogliere anche decine di migliaia di persone, che ha dalla sua parte decine di esperti , docenti di università e politecnico, e consistenti gruppi di sostegno anche fuori dalla valle, non ha interlocutori con cui si possa discutere nel merito pubblicamente.

 La TAV si deve fare e basta, ha in più occasioni dichiarato Chiamparino e l’intero gruppo dirigente piemontese del PD, che è il principale pilastro che sostiene un progetto parecchio traballante. La TAV è in realtà un grande Bancomat che si apre fra le valli, che funzionerà per 7-8 anni ( ma potrebbero diventare 10-12 ) , che costerà 8-10 miliardi ( ma potrebbero diventare anche più di 15 ), che fa convergere oggettivamente   gli interessi  di una decina di società che gestirebbero i lavori, il sistema di partiti che lo sostiene, i gruppi mafiosi che non stanno certo a guardare i lucrosi e incontrollabili appalti previsti tanto più in una valle che si può rendere facilmente inaccessibile, il sistema bancario che già con le Olimpiadi è già stato in prima linea nella gestione delle risorse. Ciò che importa non è che la TAV si finisca ma che la TAV si inizi perché questo  salda definitivamente gli interessi di un blocco sociale-finanziario-politico che con questo progetto si presenta come indistruttibile e inossidabile. L’impegno delle risorse sulla TAV mentre si impoverisce  giorno per giorno il sistema  di trasporto locale, si allontana ad un futuro improbabile la attuazione di un vero sistema metropolitano che si sviluppi a rete nel capoluogo e si allunghi nei grandi comuni limitrofi, mentre si sta pensando di smantellare definitivamente la rete tranviaria, in pieno recupero e sviluppo in tante metropoli europee, è l’esatto contrario di quella conversione ecologica nel settore della mobilità e nelle priorità da dare nell’impegno di risorse che auspicheremmo. Politicamente la TAV è già costata moltissimo ai suoi sostenitori e in particolare al PD. Sulla TAV nel marzo 2010 la coalizione della Bresso perdeva per 10.000 voti la Regione mentre il M5Stelle, ben prima dei recenti successi di Grillo, unica lista che poi candidava ed eleggeva anche esponenti NOTAV, superava  il 4% ottenendo 2 eletti. Analoghi successi ottenevano le Liste Civiche di orientamento NoTav alle successive elezioni comunali nella valle, dove si sperimentavano in primis le “larghe intese” con liste PD-PDL in alcuni comuni che venivano decisamente sconfitte, tant’è che nella Comunità montana permane una maggioranza NOTAV. Alle elezioni politiche di febbraio il M5Stelle raggiungeva in alcuni comuni anche il 40%, mentre insoliti risultati consistenti otteneva anche Rivoluzione Civile di Ingroia. La TAV è ormai questione nazionale e il suo destino dipende dagli esiti generali del sommovimento presente nel paese.


L’inceneritore del Gerbido, forse il più grande inceneritore costruito in Italia ( 420.000 tonn/anno di rifiuti urbani da bruciare nelle sue tre camere di combustione quando sarà  a regime), è in funzione nel quartiere di Mirafiori, alle porte della città di Torino, da pochi mesi. Malgrado la contestazione, tenace e puntuale ma oggettivamente ridotta del gruppo storico che forse da quasi 20 anni si occupa di rifiuti, raccolta differenziata e denuncia della valenza negativa degli inceneritori, l’impianto è stato avviato ma ha subito, causa motivi tecnici, continue fermate e inconvenienti che rendono sempre più delicata la sua gestione che prima ancora del suo completo funzionamento è passata per l’80% dalla città al gruppo privato Iren. Il Comune dovrebbe incassare 130 milioni di euro, ma la città ne ha spesi comunque più di 400 per costruire l’impianto.  Per il primo anno di pre-esercizio era previsto di incenerire più di 1200 tonnellate di RSU al giorno sulle tre linee. Ad oggi se ne  bruciano meno di 700, utilizzando una sola linea.  Vuol dire 40.000 tonnellate in meno a fine anno e un mancato introito tra i 3 e i 4 milioni di Euro. La realtà che emerge è che l’impianto, anche per la diminuita produzione di rifiuti causata della crisi,  non ha sufficienti contratti e quindi rifiuti da bruciare; tant’è  che per mantenere viva la sua seconda fornace si ricorre al metano mentre si  cercano rifiuti da altre zone. In realtà diventa sempre più paradossale che l’impianto, metano compreso, resta in piedi economicamente solo grazie ai Cip6, i contributi che tutti paghiamo sulla bolletta elettrica  e che dovrebbero andare alle energie rinnovabili. La perdita economica, se dovesse perdurare, si scaricherà prima o poi sulla città e mette a rischio il procedere dei programmi della Raccolta differenziata ferma e mai partita per la verità in varie zone della città. Emerge il rischio di mettere quindi in secondo piano l’obiettivo della RD , oggi al 42% nell’intera Provincia di Torino, ed anche più alta in altre province come quelle di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola. Sarebbe paradossale che la città che in molti studi viene indicata fra le più inquinate d’Europa, specie per le polveri sottili, dopo la scelta insostenibile di costruire un impianto di incenerimento alle porte, lo mantenga economicamente con un aggravio economico dei cittadini , lo alimenti raccattando rifiuti in altre zone della regione e del paese  o ridimensionando silenziosamente il recupero dei materiali; il tutto per garantire la remunerabilità del suo principale proprietario privato.  


ll grattacielo Intesa Sanpaolo sarà la sede dell'omonimo gruppo bancario e sorgerà a Torino nel quartiere di Cit Turin. Già da maggio di quest’anno la costruzione ha raggiunto di fatto la sua massima altezza che alla fine , dopo forti contestazioni, sarà di circa 167 metri, praticamente uguale a quella della Mole Antonelliana che dal 1889 caratterizza lo skyline della città. Dal punto di vista del paesaggio l’impatto del grattacielo è orribile ( sempre più man mano che la costruzione si completa); la qualità energetica dell’edificio è secondo alcuni esperti, tecnici e architetti contestatori, minore di quella annunciata; ma soprattutto l’ area che occupa di circa 160 × 45 m compresa tra corso Inghilterra e corso Vittorio Emanuele II e  vicina alla stazione di Porta Susa, con il suo carico previsto di 2000 impiegati, renderà definitivamente impraticabile una zona del centro cittadino già oggi affollata di auto e pressoché priva di posteggi facilmente fruibili; mentre la linea 1 del Metrò è l’unica ad oggi quasi completata riducendo la possibilità di fruizione per la gran parte di coloro che si muovono nella città. L’intasamento e la “densità costruttiva” della città provocata dalle giunte di centro-sinistra, che da Castellani a Chiamparino e infine Fassino  hanno già portato a più di 200 varianti del Piano regolatore, insieme al ritardo ormai insanabile della rete metropolitana, è forse la principale sconfitta della città, dove oggettivamente la soluzione del problema traffico-inquinamento-costi  vede la resa di tutti i soggetti che a vario titolo ne dovrebbero avere responsabilità e competenza.


Nella prima metà degli anni ’90, con la disgregazione o la trasformazione dei vecchi partiti, DC, PSI e PCI, si avviava una drastica trasformazione del sistema politico locale. La  V legislatura regionale ('90-'95) dell’anziano presidente democristiano Brizio si chiudeva con quella che molti hanno chiamato “ la prima giunta anomala” italiana dopo la fase di Mani Pulite. Una inedita maggioranza DC-PCI più un Verde e un Radicale, che ha per qualche anno assicurato una inedita svolta nella politica regionale. Nel periodo successivo il territorio regionale apparve per un po’ politicamente come una ciambella: la provincia di Torino al centro con una netta maggioranza di centro-sinistra, e le 7 province di contorno con una prevalente fisionomia di centro-destra. Ma nelle successive legislature prima Ghigo (cd) poi Bresso (cs), tutto è diventato più sfumato. Il centro-destra piemontese è sempre stato di scarsa qualità e abilità, ad eccezione di un gruppo di ex democristiani storici che si sono spostati ripetutamente nelle giunte di diverso colore anche con ruoli di rilievo. La situazione è progressivamente cambiata con la nascita del PD che ha raccolto a man bassa  transfughi dei vari partiti della fase storica precedente ( DC, PSI, PCI-DS ma anche alcuni verdi, dipietristi, e delle varie sinistre in disfacimento che si offrivano sul mercato a poco prezzo e sempre in ruoli marginali) ed ha inventato il gruppo dei Moderati, un contenitore elettorale dei più diversi interessi locali, privo di una qualche definita connotazione politica, ma  alleato elettorale in tutte le competizioni , anche con un certo successo. Sul PD piemontese circolano alcune battute significative: la prima è che con l’era Chiamparino si è inaugurata la nuova strategia: che per battere il centro-destra è sufficiente fare propria una politica di centro-destra; la seconda che l’unica sezione davvero funzionante di partito è quella che raccoglie la Banca SanPaolo, le redazioni locali di Repubblica e La Stampa e di Rai3. Fece un certo scalpore infatti al momento delle primarie che a Torino scelsero Fassino come candidato a sindaco della città, scoprire che gli iscritti al PD in una città di quasi un milione di abitanti erano forse poco più di 3500. 


I movimenti locali di connotazione ambientalista, civica o delle varie sinistre dissidenti sono stati numerosissimi e molto attivi per anni; si disse che in Piemonte erano più di 300 i gruppi locali collocabili in queste aree, ma desolante la loro incapacità di trovare forme di aggregazione e leadership di un qualche rilievo; sempre presenti nelle scadenze elettorali, sempre divisi e sempre spazzati via, il fenomeno sta rapidamente spegnendosi con l’avvento di nuovi protagonisti; con poche ma importanti eccezioni di rilievo: la prima ovviamente l’occasione dei referendum dove questo variegato e diffuso fronte alternativo, una volta tanto unito, ha scoperto di diventare anche in questa regione, e più che in altre,  catalizzatore momentaneo della maggioranza dei cittadini della Regione. La seconda eccezione sono alcuni esempi di “zone liberate “: a parte la specificità di vari comuni della Val di Susa, governati da giunte NOTAV, l’esempio del piccolo comune di Tronzano nel vercellese dove 3 anni fa una lista civica e di connotazione fortemente ecologista batteva le solite due liste tradizionali e metteva a sindaco Chemello, un giovane bravo e troppo poco conosciuto, vicino al Movimento Valledora, un organismo che ha unito numerosi comitati a cavallo fra vercellese e biellese nella difesa puntuale del territorio dall’assalto di cave e discariche; poi il successo a Rivalta, comune della seconda cintura torinese, di una lista locale (Rivalta Sostenibile ) che presentatasi per la seconda volta alle elezioni,  batteva al secondo turno la coalizione PD eleggendo a sindaco Mauro Marinari, un  attivissimo esponente ecologista locale. Si tratta però di episodi oggettivamente isolati.  Le elezioni politiche di febbraio hanno visto anche qui l’esplosione elettorale del Movimento 5Stelle, preceduta dalla nascita di tantissimi gruppi e successi locali, che non è detto riescano a tenere con il tempo dopo una crescita così rapida e del tutto imprevista. Ma tutto è ancora in rapida trasformazione ed è difficile dire in che direzione, visto anche il probabile scioglimento anticipato del Consiglio Regionale espressione quasi di una diversa e superata era geologica.


* Massimo Marino, torinese, è stato Coordinatore nazionale dei Verdi nel 1987 alla nascita della Federazione dei Verdi, dalla quale  si è definitivamente allontanato nel 1993 nel periodo successivo all’elezione di Rutelli a loro portavoce nazionale. Nel 1990 è stato eletto consigliere regionale per i Verdi-Sole che ride. Negli ultimi due anni del mandato (1994-95) è diventato Assessore Regionale all’Ambiente e alla Protezione Civile avviando il primo Piano Regionale dei Rifiuti del Piemonte, la costituzione dell’Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) e occupandosi del piano di bonifica di Trecate dopo l’esplosione del pozzo petrolifero dell’Agip e del rilancio della Protezione Civile regionale nel periodo della tragica alluvione del 1994. Dal 1995 è rientrato in fabbrica fino al 2002 svolgendo l’attività di tecnico di ricerca nel settore chimico-farmaceutico, impegnandosi nel ruolo di delegato di reparto, poi eletto delegato all’ambiente di fabbrica previsto dalla L.626. Nel 2008 ha ripreso un impegno ecologista più diretto con la fondazione del Gruppo delle Cinque Terre per il quale mantiene l’impegno attraverso interventi, articoli e documenti sui blog del gruppo. Pur avendo riconosciuto le affinità del Movimento 5Stelle con le elaborazioni del gruppo nel campo dell’ecologismo, della democrazia e dei temi sociali l’impegno di fondo resta quello della riflessione sulla necessità di “un nuovo ecologismo europeo” e della convergenza in questa direzione dei tanti movimenti sociali che operano nella società italiana e nell’ambito europeo.    



(  testo base dell’articolo in uscita in gennaio sul n.7 della rivista Barricate )