domenica 15 dicembre 2013

Piemonte: terra di confine dello scontro sociale






di Massimo Marino  *


Che Torino e il Piemonte siano stati, un po’ sorprendentemente, uno dei punti di maggiore tensione di queste giornate di “ proteste dei Forconi “ di metà dicembre, ma anche di altri momenti accesi di contestazione del sistema politico sempre più spesso identificato sommariamente come “la casta” non deve stupire. 


Siamo nella regione dove sono saltati i mezzi toni, le sfumature, le mediazioni, in definitiva, il dialogo sociale. Si va allo scontro più che al confronto: TAV, Inceneritore e Grattacielo di Torino, tramonto della Fiat e dell’automobile con il loro indotto, esplosione dei Centri Commerciali e decimazione  delle attività commerciali di strada, devastazione dei territori agricoli come i 3 km di cave e discariche ininterrotte e allineate in fila come denunciano in Valledora, crisi del sistema sanitario e chiusura contestata di  presidi ospedalieri  locali, comparsa di forme organizzate di criminalità mafiosa (vedi l’inchiesta Minotauro ), una cementificazione mai arrestata e indifferente al colore politico delle giunte, il Piano Regolatore di Torino del quale si sono abbondantemente superate le 200 varianti e per finire e non farla troppo lunga,  un Consiglio Regionale con 43 su 60 membri  inquisiti con varie ipotesi di reato compresi il vincente Cota e la perdente Bresso. Per di più, a 3 anni dal voto regionale,  si riconosce di fatto irregolarità gravi nelle liste minori della coalizione vincente di centro-destra, ma anche problemi nella coalizione perdente. Tutto ciò per indicare che nel Piemonte le cose si muovono con una velocità ed una tensione che lo rendono un caso forse unico nel panorama pur tormentato del paese.  


La TAV è la madre di tutte le battaglie. Il progetto nacque 20 anni fa, è cambiato infinite volte ( nacque come sistema veloce per passeggieri poi si trasformò in prevalenza in sistema che dovrebbe movimentare merci ) ed ha cambiato più volte ipotesi di percorso; ma resta prima di tutto il progetto di un grande buco di più di 50 km fra le strette valli valsusine che hanno già sopportato a stento all’epoca l’autostrada della SITAF verso la Francia. La validità tecnica del progetto è cosa di cui non si discute quasi più. Il movimento NOTAV, che nella valle ha consolidato il sostegno attivo e militante della maggioranza, che nei momenti più importanti è in grado di raccogliere anche decine di migliaia di persone, che ha dalla sua parte decine di esperti , docenti di università e politecnico, e consistenti gruppi di sostegno anche fuori dalla valle, non ha interlocutori con cui si possa discutere nel merito pubblicamente.

 La TAV si deve fare e basta, ha in più occasioni dichiarato Chiamparino e l’intero gruppo dirigente piemontese del PD, che è il principale pilastro che sostiene un progetto parecchio traballante. La TAV è in realtà un grande Bancomat che si apre fra le valli, che funzionerà per 7-8 anni ( ma potrebbero diventare 10-12 ) , che costerà 8-10 miliardi ( ma potrebbero diventare anche più di 15 ), che fa convergere oggettivamente   gli interessi  di una decina di società che gestirebbero i lavori, il sistema di partiti che lo sostiene, i gruppi mafiosi che non stanno certo a guardare i lucrosi e incontrollabili appalti previsti tanto più in una valle che si può rendere facilmente inaccessibile, il sistema bancario che già con le Olimpiadi è già stato in prima linea nella gestione delle risorse. Ciò che importa non è che la TAV si finisca ma che la TAV si inizi perché questo  salda definitivamente gli interessi di un blocco sociale-finanziario-politico che con questo progetto si presenta come indistruttibile e inossidabile. L’impegno delle risorse sulla TAV mentre si impoverisce  giorno per giorno il sistema  di trasporto locale, si allontana ad un futuro improbabile la attuazione di un vero sistema metropolitano che si sviluppi a rete nel capoluogo e si allunghi nei grandi comuni limitrofi, mentre si sta pensando di smantellare definitivamente la rete tranviaria, in pieno recupero e sviluppo in tante metropoli europee, è l’esatto contrario di quella conversione ecologica nel settore della mobilità e nelle priorità da dare nell’impegno di risorse che auspicheremmo. Politicamente la TAV è già costata moltissimo ai suoi sostenitori e in particolare al PD. Sulla TAV nel marzo 2010 la coalizione della Bresso perdeva per 10.000 voti la Regione mentre il M5Stelle, ben prima dei recenti successi di Grillo, unica lista che poi candidava ed eleggeva anche esponenti NOTAV, superava  il 4% ottenendo 2 eletti. Analoghi successi ottenevano le Liste Civiche di orientamento NoTav alle successive elezioni comunali nella valle, dove si sperimentavano in primis le “larghe intese” con liste PD-PDL in alcuni comuni che venivano decisamente sconfitte, tant’è che nella Comunità montana permane una maggioranza NOTAV. Alle elezioni politiche di febbraio il M5Stelle raggiungeva in alcuni comuni anche il 40%, mentre insoliti risultati consistenti otteneva anche Rivoluzione Civile di Ingroia. La TAV è ormai questione nazionale e il suo destino dipende dagli esiti generali del sommovimento presente nel paese.


L’inceneritore del Gerbido, forse il più grande inceneritore costruito in Italia ( 420.000 tonn/anno di rifiuti urbani da bruciare nelle sue tre camere di combustione quando sarà  a regime), è in funzione nel quartiere di Mirafiori, alle porte della città di Torino, da pochi mesi. Malgrado la contestazione, tenace e puntuale ma oggettivamente ridotta del gruppo storico che forse da quasi 20 anni si occupa di rifiuti, raccolta differenziata e denuncia della valenza negativa degli inceneritori, l’impianto è stato avviato ma ha subito, causa motivi tecnici, continue fermate e inconvenienti che rendono sempre più delicata la sua gestione che prima ancora del suo completo funzionamento è passata per l’80% dalla città al gruppo privato Iren. Il Comune dovrebbe incassare 130 milioni di euro, ma la città ne ha spesi comunque più di 400 per costruire l’impianto.  Per il primo anno di pre-esercizio era previsto di incenerire più di 1200 tonnellate di RSU al giorno sulle tre linee. Ad oggi se ne  bruciano meno di 700, utilizzando una sola linea.  Vuol dire 40.000 tonnellate in meno a fine anno e un mancato introito tra i 3 e i 4 milioni di Euro. La realtà che emerge è che l’impianto, anche per la diminuita produzione di rifiuti causata della crisi,  non ha sufficienti contratti e quindi rifiuti da bruciare; tant’è  che per mantenere viva la sua seconda fornace si ricorre al metano mentre si  cercano rifiuti da altre zone. In realtà diventa sempre più paradossale che l’impianto, metano compreso, resta in piedi economicamente solo grazie ai Cip6, i contributi che tutti paghiamo sulla bolletta elettrica  e che dovrebbero andare alle energie rinnovabili. La perdita economica, se dovesse perdurare, si scaricherà prima o poi sulla città e mette a rischio il procedere dei programmi della Raccolta differenziata ferma e mai partita per la verità in varie zone della città. Emerge il rischio di mettere quindi in secondo piano l’obiettivo della RD , oggi al 42% nell’intera Provincia di Torino, ed anche più alta in altre province come quelle di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola. Sarebbe paradossale che la città che in molti studi viene indicata fra le più inquinate d’Europa, specie per le polveri sottili, dopo la scelta insostenibile di costruire un impianto di incenerimento alle porte, lo mantenga economicamente con un aggravio economico dei cittadini , lo alimenti raccattando rifiuti in altre zone della regione e del paese  o ridimensionando silenziosamente il recupero dei materiali; il tutto per garantire la remunerabilità del suo principale proprietario privato.  


ll grattacielo Intesa Sanpaolo sarà la sede dell'omonimo gruppo bancario e sorgerà a Torino nel quartiere di Cit Turin. Già da maggio di quest’anno la costruzione ha raggiunto di fatto la sua massima altezza che alla fine , dopo forti contestazioni, sarà di circa 167 metri, praticamente uguale a quella della Mole Antonelliana che dal 1889 caratterizza lo skyline della città. Dal punto di vista del paesaggio l’impatto del grattacielo è orribile ( sempre più man mano che la costruzione si completa); la qualità energetica dell’edificio è secondo alcuni esperti, tecnici e architetti contestatori, minore di quella annunciata; ma soprattutto l’ area che occupa di circa 160 × 45 m compresa tra corso Inghilterra e corso Vittorio Emanuele II e  vicina alla stazione di Porta Susa, con il suo carico previsto di 2000 impiegati, renderà definitivamente impraticabile una zona del centro cittadino già oggi affollata di auto e pressoché priva di posteggi facilmente fruibili; mentre la linea 1 del Metrò è l’unica ad oggi quasi completata riducendo la possibilità di fruizione per la gran parte di coloro che si muovono nella città. L’intasamento e la “densità costruttiva” della città provocata dalle giunte di centro-sinistra, che da Castellani a Chiamparino e infine Fassino  hanno già portato a più di 200 varianti del Piano regolatore, insieme al ritardo ormai insanabile della rete metropolitana, è forse la principale sconfitta della città, dove oggettivamente la soluzione del problema traffico-inquinamento-costi  vede la resa di tutti i soggetti che a vario titolo ne dovrebbero avere responsabilità e competenza.


Nella prima metà degli anni ’90, con la disgregazione o la trasformazione dei vecchi partiti, DC, PSI e PCI, si avviava una drastica trasformazione del sistema politico locale. La  V legislatura regionale ('90-'95) dell’anziano presidente democristiano Brizio si chiudeva con quella che molti hanno chiamato “ la prima giunta anomala” italiana dopo la fase di Mani Pulite. Una inedita maggioranza DC-PCI più un Verde e un Radicale, che ha per qualche anno assicurato una inedita svolta nella politica regionale. Nel periodo successivo il territorio regionale apparve per un po’ politicamente come una ciambella: la provincia di Torino al centro con una netta maggioranza di centro-sinistra, e le 7 province di contorno con una prevalente fisionomia di centro-destra. Ma nelle successive legislature prima Ghigo (cd) poi Bresso (cs), tutto è diventato più sfumato. Il centro-destra piemontese è sempre stato di scarsa qualità e abilità, ad eccezione di un gruppo di ex democristiani storici che si sono spostati ripetutamente nelle giunte di diverso colore anche con ruoli di rilievo. La situazione è progressivamente cambiata con la nascita del PD che ha raccolto a man bassa  transfughi dei vari partiti della fase storica precedente ( DC, PSI, PCI-DS ma anche alcuni verdi, dipietristi, e delle varie sinistre in disfacimento che si offrivano sul mercato a poco prezzo e sempre in ruoli marginali) ed ha inventato il gruppo dei Moderati, un contenitore elettorale dei più diversi interessi locali, privo di una qualche definita connotazione politica, ma  alleato elettorale in tutte le competizioni , anche con un certo successo. Sul PD piemontese circolano alcune battute significative: la prima è che con l’era Chiamparino si è inaugurata la nuova strategia: che per battere il centro-destra è sufficiente fare propria una politica di centro-destra; la seconda che l’unica sezione davvero funzionante di partito è quella che raccoglie la Banca SanPaolo, le redazioni locali di Repubblica e La Stampa e di Rai3. Fece un certo scalpore infatti al momento delle primarie che a Torino scelsero Fassino come candidato a sindaco della città, scoprire che gli iscritti al PD in una città di quasi un milione di abitanti erano forse poco più di 3500. 


I movimenti locali di connotazione ambientalista, civica o delle varie sinistre dissidenti sono stati numerosissimi e molto attivi per anni; si disse che in Piemonte erano più di 300 i gruppi locali collocabili in queste aree, ma desolante la loro incapacità di trovare forme di aggregazione e leadership di un qualche rilievo; sempre presenti nelle scadenze elettorali, sempre divisi e sempre spazzati via, il fenomeno sta rapidamente spegnendosi con l’avvento di nuovi protagonisti; con poche ma importanti eccezioni di rilievo: la prima ovviamente l’occasione dei referendum dove questo variegato e diffuso fronte alternativo, una volta tanto unito, ha scoperto di diventare anche in questa regione, e più che in altre,  catalizzatore momentaneo della maggioranza dei cittadini della Regione. La seconda eccezione sono alcuni esempi di “zone liberate “: a parte la specificità di vari comuni della Val di Susa, governati da giunte NOTAV, l’esempio del piccolo comune di Tronzano nel vercellese dove 3 anni fa una lista civica e di connotazione fortemente ecologista batteva le solite due liste tradizionali e metteva a sindaco Chemello, un giovane bravo e troppo poco conosciuto, vicino al Movimento Valledora, un organismo che ha unito numerosi comitati a cavallo fra vercellese e biellese nella difesa puntuale del territorio dall’assalto di cave e discariche; poi il successo a Rivalta, comune della seconda cintura torinese, di una lista locale (Rivalta Sostenibile ) che presentatasi per la seconda volta alle elezioni,  batteva al secondo turno la coalizione PD eleggendo a sindaco Mauro Marinari, un  attivissimo esponente ecologista locale. Si tratta però di episodi oggettivamente isolati.  Le elezioni politiche di febbraio hanno visto anche qui l’esplosione elettorale del Movimento 5Stelle, preceduta dalla nascita di tantissimi gruppi e successi locali, che non è detto riescano a tenere con il tempo dopo una crescita così rapida e del tutto imprevista. Ma tutto è ancora in rapida trasformazione ed è difficile dire in che direzione, visto anche il probabile scioglimento anticipato del Consiglio Regionale espressione quasi di una diversa e superata era geologica.


* Massimo Marino, torinese, è stato Coordinatore nazionale dei Verdi nel 1987 alla nascita della Federazione dei Verdi, dalla quale  si è definitivamente allontanato nel 1993 nel periodo successivo all’elezione di Rutelli a loro portavoce nazionale. Nel 1990 è stato eletto consigliere regionale per i Verdi-Sole che ride. Negli ultimi due anni del mandato (1994-95) è diventato Assessore Regionale all’Ambiente e alla Protezione Civile avviando il primo Piano Regionale dei Rifiuti del Piemonte, la costituzione dell’Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) e occupandosi del piano di bonifica di Trecate dopo l’esplosione del pozzo petrolifero dell’Agip e del rilancio della Protezione Civile regionale nel periodo della tragica alluvione del 1994. Dal 1995 è rientrato in fabbrica fino al 2002 svolgendo l’attività di tecnico di ricerca nel settore chimico-farmaceutico, impegnandosi nel ruolo di delegato di reparto, poi eletto delegato all’ambiente di fabbrica previsto dalla L.626. Nel 2008 ha ripreso un impegno ecologista più diretto con la fondazione del Gruppo delle Cinque Terre per il quale mantiene l’impegno attraverso interventi, articoli e documenti sui blog del gruppo. Pur avendo riconosciuto le affinità del Movimento 5Stelle con le elaborazioni del gruppo nel campo dell’ecologismo, della democrazia e dei temi sociali l’impegno di fondo resta quello della riflessione sulla necessità di “un nuovo ecologismo europeo” e della convergenza in questa direzione dei tanti movimenti sociali che operano nella società italiana e nell’ambito europeo.    



(  testo base dell’articolo in uscita in gennaio sul n.7 della rivista Barricate )

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