di Silvana Santo *
Non solo gli operatori delle rinnovabili. A lamentarsi per i tagli imposti dal decreto Romani, approvato il 3 marzo scorso dal Governo e ancora in attesa dei provvedimenti attuativi, sono adesso anche le aziende che gestiscono gli impianti di incenerimento dei rifiuti che godono ancora dei cosiddetti Certificati verdi. I titoli negoziabili assegnati in misura proporzionale all'elettricità prodotta, infatti, non rappresentano solo la principale forma di incentivazione per le rinnovabili diverse dal fotovoltaico, ma interessano anche un certo numero di termovalorizzatori in esercizio in Italia, anche se solo per una parte dei rifiuti trattati. La Finanziaria 2007, infatti, in seguito a una procedura di infrazione aperta dall'Unione europea nei confronti del nostro paese, ha limitato l'applicazione dei Certificati verdi solo alla frazione biodegradabile dei rifiuti trattati, quantificata nel 51% del materiale bruciato (l'altra forma di incentivazione per il termovalorizzatori, il contestatissimo Cip6, è stato invece limitato agli impianti autorizzati prima del 2007 e per i quali era già stata avviata entro quell'anno la realizzazione, anche se provvedimenti successivi hanno poi introdotto delle proroghe temporali e una deroga per gli impianti autorizzati nell'ambito della gestione della cosiddetta emergenza campana).
Anche per i termovalorizzatori che godono dei Certificati verdi, dunque, come per le centrali eoliche, a biomassa, etc, il decreto Romani ha tagliato il valore dei sussidi del 22%, includendo nella riduzione anche gli impianti già in esercizio o prossimi all'inaugurazione. Come si legge all'articolo 23 comma 4 del decreto, infatti, il prezzo con cui il Gestore dei servizi energetici (Gse) ritirerà i certificati verdi in eccesso è «pari al 78% del prezzo di cui al citato comma 148», ovvero del prezzo massimo di riferimento per i titoli. Il taglio, ad esempio, riguarderà l'impianto di termovalorizzazione in costruzione al Gerbido, nei pressi di Torino, che dovrebbe entrare in funzione nel 2013 e restare operativo per circa 20 anni. Bruno Torresin, amministratore delegato della Trm, la municipalizzata che gestisce l'impianto, è spaventato da questa prospettiva, e paventa addirittura un aumento della tariffa rifiuti per compensare la riduzione degli incentivi. «In futuro – ha dichiarato – potremmo vederci costretti ad aumentare in modo sostanziale la tariffa di conferimento dei rifiuti». Una situazione analoga potrebbe verificarsi a Trento, dove pure è in costruzione un inceneritore per il cui i certificati verdi, che saranno erogati naturalmente a partire dalla messa in esercizio dell'impianto, valgono 2 milioni e mezzo di euro l’anno, sui 12 di risultato lordo di esercizio previsto.
«L'allarme degli operatori dimostra che in assenza di incentivi i termovalorizzatori non sono convenienti – commenta il direttore di QualEnergia Segio Ferraris, interrogato sull'argomento da Eco dalle Città – tanto che in Germania l'esperienza dell'incenerimento si è esaurita naturalmente via via che la raccolta differenziata è migliorata». Secondo l'esperto, in ogni caso, anche se gli incentivi rimanessero ai livelli attuali, «difficilmente sarebbero utilizzati per ridurre la tariffa rifiuti». Il rischio, però, è che il calo di redditività degli impianti venga compensato da un utilizzo improprio dei termovalorizzatori. «L'importante – conclude Ferraris – è evitare che per recuperare le perdite si finisca col bruciare anche materiali più redditizi del Cdr di qualità, come il pet o altri rifiuti derivanti della raccolta differenziata». Una preoccupazione condivisa da Maria Grazia Midulla, responsabile Energia e clima del Wwf, secondo cui «gli inceneritori sono vantaggiosi dal punto di vista economico solo se sono incentivati o utilizzati per bruciare materiale diverso dal combustibile da rifiuto».
Anche Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, è convinto che i timori delle aziende dimostrino che senza sussidi pubblici i termovalorizzatori non sono un grande affare. «Gli incentivi concessi agli inceneritori hanno in qualche modo "drogato" il mercato – dichiara l'ambientalista a Eco dalle Città – rendendo molto rapido il ritorno degli investimenti iniziali e arrivando in qualche caso al paradosso per cui incenerire la spazzatura è più conveniente non solo del conferimento in discarica, come previsto dalle norme europee, ma anche del riciclo, che invece dovrebbe essere la soluzione privilegiata». Quanto al numero degli impianti interessati dal taglio dei sussidi, Ciafani ammette che non è un calcolo semplice. «Dei 52 termovalorizzatori in funzione in Italia, ci sono gli impianti più vecchi di 8 o 15 anni, che per legge non godono più degli incentivi, quelli che beneficiano ancora del Cip6, e quelli più recenti, per i quali si applicano i Certificati verdi calcolati solo sulla base del 51% dei rifiuti inceneriti, ovvero la parte biodegradabile».
A fare un po' di chiarezza ci prova l'ultimo Rapporto sul recupero energetico da rifiuti urbani in Italia, pubblicato nel 2009 da Federambiente ed Enea (vedi tabella allegata). Secondo gli ultimi dati disponibili, aggiornati al 2007 (la nuova edizione del report non sarà pronta prima dell'estate, ndr), quattro anni fa erano in realtà soltanto 8 gli impianti a godere di questa forma di incentivo (7 al nord e solo uno, quello di Macomer (Nu) al centro-sud). Nel frattempo, tra l'altro, stando sempre al rapporto di Federambiente ed Enea, per la maggior parte degli impianti (Vercelli, Busto Arsizio, Cremona, Padova, Forlì) il periodo di incentivazione tramite Certificati verdi è già scaduto, e per altri (Schio, Trieste e Macomer) avrà termine entro la fine del 2011. In pratica, i tagli imposti dal decreto Romani interesseranno solo gli impianti che, come quelli di Torino e Trento, sono ancora in costruzione (Manfredonia e Modugno in Puglia, Uguzzolo in provincia di Parma, la nuova linea dell'impianto di San Vittore, a sud di Roma), e ovviamente tutti quelli che saranno realizzati in futuro. Molto più numerosi quelli che, nonostante i richiami e le sanzioni da parte dell'Ue, nel 2007 usufruivano ancora del sussidio Cip6 (30 sui 52 totali, ai quali si è nel frattempo aggiunto il termovalorizzatore di Acerra, ultimato più di recente). Questi, finché dura, si tengono stretti il loro Cip6.
Anche per i termovalorizzatori che godono dei Certificati verdi, dunque, come per le centrali eoliche, a biomassa, etc, il decreto Romani ha tagliato il valore dei sussidi del 22%, includendo nella riduzione anche gli impianti già in esercizio o prossimi all'inaugurazione. Come si legge all'articolo 23 comma 4 del decreto, infatti, il prezzo con cui il Gestore dei servizi energetici (Gse) ritirerà i certificati verdi in eccesso è «pari al 78% del prezzo di cui al citato comma 148», ovvero del prezzo massimo di riferimento per i titoli. Il taglio, ad esempio, riguarderà l'impianto di termovalorizzazione in costruzione al Gerbido, nei pressi di Torino, che dovrebbe entrare in funzione nel 2013 e restare operativo per circa 20 anni. Bruno Torresin, amministratore delegato della Trm, la municipalizzata che gestisce l'impianto, è spaventato da questa prospettiva, e paventa addirittura un aumento della tariffa rifiuti per compensare la riduzione degli incentivi. «In futuro – ha dichiarato – potremmo vederci costretti ad aumentare in modo sostanziale la tariffa di conferimento dei rifiuti». Una situazione analoga potrebbe verificarsi a Trento, dove pure è in costruzione un inceneritore per il cui i certificati verdi, che saranno erogati naturalmente a partire dalla messa in esercizio dell'impianto, valgono 2 milioni e mezzo di euro l’anno, sui 12 di risultato lordo di esercizio previsto.
«L'allarme degli operatori dimostra che in assenza di incentivi i termovalorizzatori non sono convenienti – commenta il direttore di QualEnergia Segio Ferraris, interrogato sull'argomento da Eco dalle Città – tanto che in Germania l'esperienza dell'incenerimento si è esaurita naturalmente via via che la raccolta differenziata è migliorata». Secondo l'esperto, in ogni caso, anche se gli incentivi rimanessero ai livelli attuali, «difficilmente sarebbero utilizzati per ridurre la tariffa rifiuti». Il rischio, però, è che il calo di redditività degli impianti venga compensato da un utilizzo improprio dei termovalorizzatori. «L'importante – conclude Ferraris – è evitare che per recuperare le perdite si finisca col bruciare anche materiali più redditizi del Cdr di qualità, come il pet o altri rifiuti derivanti della raccolta differenziata». Una preoccupazione condivisa da Maria Grazia Midulla, responsabile Energia e clima del Wwf, secondo cui «gli inceneritori sono vantaggiosi dal punto di vista economico solo se sono incentivati o utilizzati per bruciare materiale diverso dal combustibile da rifiuto».
Anche Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, è convinto che i timori delle aziende dimostrino che senza sussidi pubblici i termovalorizzatori non sono un grande affare. «Gli incentivi concessi agli inceneritori hanno in qualche modo "drogato" il mercato – dichiara l'ambientalista a Eco dalle Città – rendendo molto rapido il ritorno degli investimenti iniziali e arrivando in qualche caso al paradosso per cui incenerire la spazzatura è più conveniente non solo del conferimento in discarica, come previsto dalle norme europee, ma anche del riciclo, che invece dovrebbe essere la soluzione privilegiata». Quanto al numero degli impianti interessati dal taglio dei sussidi, Ciafani ammette che non è un calcolo semplice. «Dei 52 termovalorizzatori in funzione in Italia, ci sono gli impianti più vecchi di 8 o 15 anni, che per legge non godono più degli incentivi, quelli che beneficiano ancora del Cip6, e quelli più recenti, per i quali si applicano i Certificati verdi calcolati solo sulla base del 51% dei rifiuti inceneriti, ovvero la parte biodegradabile».
A fare un po' di chiarezza ci prova l'ultimo Rapporto sul recupero energetico da rifiuti urbani in Italia, pubblicato nel 2009 da Federambiente ed Enea (vedi tabella allegata). Secondo gli ultimi dati disponibili, aggiornati al 2007 (la nuova edizione del report non sarà pronta prima dell'estate, ndr), quattro anni fa erano in realtà soltanto 8 gli impianti a godere di questa forma di incentivo (7 al nord e solo uno, quello di Macomer (Nu) al centro-sud). Nel frattempo, tra l'altro, stando sempre al rapporto di Federambiente ed Enea, per la maggior parte degli impianti (Vercelli, Busto Arsizio, Cremona, Padova, Forlì) il periodo di incentivazione tramite Certificati verdi è già scaduto, e per altri (Schio, Trieste e Macomer) avrà termine entro la fine del 2011. In pratica, i tagli imposti dal decreto Romani interesseranno solo gli impianti che, come quelli di Torino e Trento, sono ancora in costruzione (Manfredonia e Modugno in Puglia, Uguzzolo in provincia di Parma, la nuova linea dell'impianto di San Vittore, a sud di Roma), e ovviamente tutti quelli che saranno realizzati in futuro. Molto più numerosi quelli che, nonostante i richiami e le sanzioni da parte dell'Ue, nel 2007 usufruivano ancora del sussidio Cip6 (30 sui 52 totali, ai quali si è nel frattempo aggiunto il termovalorizzatore di Acerra, ultimato più di recente). Questi, finché dura, si tengono stretti il loro Cip6.
* da ECO dalle Città del 26 aprile 2011
Tremano le fondamenta del nuovo inceneritore - da La Repubblica Torino del 23.04.2011
Addio certificati verdi, la tariffa rifiuti rischia di aumentare - da La Stampa.it del 23.04.2011
A rischio, per l’inceneritore trentino, 3 milioni di euro l’anno - da L'Adigetto.it del 24.04.2011
A rischio, per l’inceneritore trentino, 3 milioni di euro l’anno - da L'Adigetto.it del 24.04.2011
Nessun commento:
Posta un commento