In attesa di sviluppi militari e diplomatici che definiscano il possibile
esito del conflitto tra russi e ucraini, è forse possibile evidenziare chi
siano già oggi gli sconfitti e i vincitori nella guerra iniziata in Ucraina nel
2014 ma allargatasi a uno scontro convenzionale su vasta scala a partire dal 24
febbraio 2022.
Il tema verrà sviluppato presto in modo più analitico e organico ma pare
evidente che gli sconfitti siano almeno tre:
- l’Ucraina che uscirà in ogni caso
devastata e probabilmente divisa dal conflitto, col rischio di subire
pesanti condizioni di pace o perdite territoriali oltre ai gravi danni
economici, umani e materiali.
- la Russia che al di là dei possibili
successi militari verrà forse a lungo emarginata dall’Occidente, tagliata
fuori da quell’Europa a cui appartiene, sottoposta a sanzioni e costretta
a guardare all’Asia dove l’attende il poco tranquillizzante abbraccio
della Cina
- l’Europa, costretta a fare i conti con la
propria incapacità e irrilevanza geopolitica, con la pochezza della sua
classe dirigente e con una disastrosa, devastante crisi economica ed
energetica generata dalla sua stessa insipienza e dall’aver colpevolmente
lasciato agli Stati Uniti (proprio come fece negli anni ’90 con la crisi
in ex Jugoslavia) la gestione della sua sicurezza.
I vincitori assoluti di questa guerra sembrano quindi essere
inevitabilmente Cina e Stati Uniti: i primi costituiscono una rilevante ancora
di salvezza per la Russia non solo perché sono e saranno ancor di più grandi
acquirenti del suo gas ma perché l’impoverimento e indebolimento russo
aumenterà presumibilmente il peso di Pechino in Asia e nell’Indo-Pacifico.
I secondi sono tornati a dominare un’Europa che, da tempo prima potenza
economica del mondo in termini di PIL, sembrava voler trovare una propria
dimensione strategica e militare indipendente da Washington.
Inoltre, l’impoverimento dell’Europa che a causa del caro-energia vedrà i
suoi prodotti perdere competitività sui mercati globali, favorirà soprattutto
Washington e Pechino, rispettivamente seconda e terza potenze economiche
mondiali.
Sul piano militare è difficile non notare che se dall’estate scorsa la
“difesa europea” era tornato in auge sull’onda dell’umiliante sconfitta in
Afghanistan incentrata sull’indipendenza strategica dagli Stati Uniti, oggi si
parla di “forze armate europee” complementari o addirittura integrate alla
NATO. Certo la paura (dei russi) “fa 90” in nazioni europee in cui il concetto
di guerra era stato ormai rimosso e dimenticato ma è evidente che uno strumento
militare della Ue, ammesso che possa un giorno concretizzarsi, avrà un senso
solo se ci renderà autonomi dagli USA. Se le due guerre mondiali hanno fatto
perdere all’Europa la predominanza strategica e coloniale sul mondo, la guerra
in Ucraina rischia di togliere al Vecchio Continente anche la supremazia
economica faticosamente riconquistata negli ultimi decenni.
La forte convergenza di vedute circa la guerra in Ucraina tra Stati Uniti
ed Europa emersa nei recenti vertici di Bruxelles della NATO e del Consiglio
d’Europa avrebbe dovuto far sorgere qualche interrogativo poiché gli interessi,
a cominciare da quelli energetici e geopolitici, dell’Europa divergono in modo
evidente da quelli di Washington. A minare questa fittizia unità di intenti tra
USA ed Europa hanno provveduto le ultime gaffes (ma saranno davvero tali?), del
presidente statunitense Joe Biden.
“Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”, ha detto Biden
in Polonia, poche ore dopo aver accusato il presidente russo di essere “un
macellaio”. Possibile ma improbabile che sia stato ispirato da quel ministro
europeo che aveva definito Putin “l’animale più atroce” anche se le frasi di
Biden hanno avuto un’ampia eco costringendo molti in Occidente a rettificare o
prendere le distanze. Un portavoce della Casa Bianca ha specificato che il
presidente non si riferiva al potere di Putin in Russia ma al potere che il
presidente russo vuole esercitare sui paesi vicini e il segretario di Stato
Anthony Blinken ha precisato che Washington non ha un piano per il cambio di
regime a Mosca. Rettifiche poco efficaci che non sono riuscite a fugare la
sensazione di una profonda inadeguatezza del presidente degli Stati Uniti che
tratta Putin come si trattasse di un Saddam Hussein, un Muhammar Gheddafi o un
Bashar Assad da togliere rapidamente di mezzo.
Samuel Charap, esperto di Russia presso la Rand Corporation ritiene che le
dichiarazioni di Biden esasperino in Russia “la percezione delle minacce
esistenti relativamente alle intenzioni americane. I russi potrebbero essere
molto più inclini a compiere gesti ostili come risposta, anche più di quanto
già non siano”. Citando ex funzionari e analisti, il Washington Post ha
sottolineato come le parole di Biden pongano gravi implicazioni sulla capacità
degli USA di contribuire a mettere fine alla guerra o di impedirne
l’ampliamento. Ma soprattutto occorre chiedersi se la fine delle ostilità il
più presto possibile sia un obiettivo che Washington (e con lei Londra) intenda
perseguire. Sono infatti troppe le affermazioni fuori luogo di Biden nei
confronti di Putin (definito nelle scorse settimane anche “un assassino” e “un
criminale di guerra”) per considerarle semplici e frequenti cadute di stile,
inopportune ma non intenzionali. Impossibile non notare che tali dichiarazioni
sembrano avere l’obiettivo di irrigidire Mosca allontanando l’avvio di
negoziati concreti e rischiando di determinare un’accelerazione o un
ampliamento di un conflitto che minaccia di travolgere l’Europa.
Difficile credere sia un caso, specie dopo le polemiche degli ultimi giorni
scatenate dalle parole di Biden, che oggi è tornato a definire Vladimir Putin
dal suo account Twitter personale “un dittatore deciso a ricostruire un
impero”. Guarda caso l’esternazione è giunta poche ore dopo l’annuncio che i
colloqui tra russi e ucraini in Turchia hanno fatto emergere uno schema di
intesa su cui continuare le trattative ma che già prevede una riduzione delle
operazioni militari russe nel settore di Kiev, dove le forze di Mosca hanno
assunto già da alcuni giorni un assetto difensivo. Poche ore prima del tweet,
in una conferenza stampa, Biden aveva chiarito che i suoi commenti sul leader
del Cremlino sono “personali”. Affermazione forse ancor più imbarazzante degli
insulti che Biden ha riservato a Putin ma del resto una guerra prolungata in
Ucraina sembra essere negli interessi di Washington che vedrebbe logorarsi la
Russia e indebolirsi rapidamente l’Europa, rivale economico e commerciale (a
oggi l’angolo più ricco del mondo in termini di PIL) a cui già nel 2014, dopo
il golpe del Maidan, Barack Obama (di cui Biden era vice) chiedeva di
rinunciare al gas russo sicuro e a buon mercato per acquistare quello
statunitense, da fornire liquefatto via nave, in misura insufficiente e a costi
ben più alti. A Washington si parla ormai apertamente di un duello in atto nell’Amministrazione
che vedrebbe da una parte Casa Bianca e Dipartimento di Stato puntare a
rafforzare la sfida militare e le provocazioni a Mosca e dall’altro il
Pentagono impegnato a smorzare i toni bellicosi, impedendo (finora) che alle
armi antiaeree e anticarro fornite alle truppe di Kiev si aggiungessero aerei
da combattimento, carri armati e artiglierie.
Negli Stati Uniti la guerra in Ucraina ha fatto precipitare ancora più
basso la popolarità di Biden, che vede oggi appena il 40 per cento degli
americani approvare il suo operato contro il 55 per cento che lo disapprova. Un
sondaggio pubblicato da NBC News registra come sette americani su 10 abbiano
poca fiducia nella capacità del presidente di gestire il conflitto. Ed un
numero ancora maggiore, otto su dieci, temono che la guerra provochi l’aumento
dei prezzi energetici e addirittura possa portare ad un coinvolgimento delle
armi nucleari. E il sondaggio è stato condotto tra il 18 ed il 22 marzo;
quindi, prima del viaggio di Biden in Europa e delle ultime dichiarazioni che
tante polemiche hanno suscitato.
In Europa il primo a “tirare le orecchie” a Biden, affermando di non
ritenere Putin un macellaio, è stato il presidente francese Emmanuel Macron,
sempre più a disagio di fronte alle dichiarazioni aggressive che Washington
dispensa pubblicamente ogni volta che sembra aprirsi la possibilità di
negoziati concreti tra i belligeranti. “Non è il momento di alimentare
un’escalation né di parole ne’ di azioni”, ha ammonito Macron che punta a un
nuovo incontro con Putin per dare un ruolo alla Francia e all’Europa nelle
trattative.
“Non stiamo cercando un cambio di regime, spetta ai cittadini russi
decidere se lo vogliano o meno”, ha dichiarato l’Alto rappresentante per la
politica estera della Ue, Josep Borrell (nella foto sotto): “Quello che
vogliamo è impedire che l’aggressione continui e fermare la guerra di Putin contro
l’Ucraina”. Persino l’alleato NATO più fedele, la Gran Bretagna, ha preso le
distanze da Biden con il ministro dell’Istruzione Nadhim Zahawi mentre il
loquace Boris Johnson questa volta non ha speso una sola parola sulle
affermazioni sopra le righe del presidente americano. Ad Ankara anche Recep
Tayyp Erdogan ha mostrato insofferenze per le parole di Biden. “Se tutti
bruciano i ponti con la Russia, chi parlerà con loro alla fine?”.
Nonostante le critiche diffuse la politica della Casa Bianca difficilmente
cambierà rotta a conferma della divergenza di interessi che separa ormai da
tempo gli USA dall’Europa e della pochezza di una Ue che invece di assumere
iniziative per risolvere la guerra in Ucraina (cominciata otto anni or sono non
un mese fa), ha preferito lasciarsi “commissariare” dagli USA nella tutela dei
suoi interessi strategici. La presenza di Biden al Consiglio d’Europa (organismo
da cui è stata appena estromessa la Russia) non è apparsa come la cortesia che
una grande potenza accorda a un ospite di riguardo ma un omaggio a chi è venuto
da oltreoceano per dettare termini e condizioni del nostro vassallaggio, con
tutte le relative conseguenze sul piano politico, strategico, economico e energetico.
* da www.analisidifesa.it – 30 marzo 2022
la pubblicazione dell’intervento non comporta la totale condivisione dei
contenuti
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