Lo strano caso degli Usa dove Trump vuole il carbone
ma crescono le rinnovabili
«Nel 2017,
le emissioni globali di CO2 legate all’energia
sono cresciute dell’1,4%, raggiungendo un massimo storico di 32,5
gigatonnellate, una ripresa della crescita dopo tre anni di emissioni globali
piatte». A dare questa brutta notizia per il clima e per l’Accordo di Parigi è
il “Global Energy & CO 2 Status Report”
dell’Internationale Energy agancy (Iea) che però aggiunge che l’aumento
delle emissioni di CO2 non riguarda tutte le aree del mondo: «Mentre
la maggior parte delle principali economie ha visto un aumento, alcune altre
hanno registrato cali, tra le quali Stati Uniti, Regno Unito, Messico e
Giappone». E la cosa singolare è che il calo più consistente viene proprio
dagli Usa di Donald Trump che vuole più carbone mentre vengono installati
sempre più impianti per produrre energia rinnovabile.
Il rapporto Iea evidenzia che «Nel
2017, la CO2 globale legata all’energia è aumentata dell’1,4% , con un
aumento di 460 milioni di tonnellate (Mt), e ha raggiunto un massimo storico di
32,5 gigatonnellate (Gt). La crescita dello scorso anno è arrivata dopo
tre anni di emissioni piatte e contrasta con la forte riduzione necessaria per
raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici». E’
come se in un anno fossero state messe in strada 170 milioni di auto in più e
l’amento delle emissioni di carbonio è il frutto di una crescita
economica globale del 3,7%, di prezzi più bassi dei combustibili fossili
e di una diminuzione degli sforzi per l’efficienza energetica più
deboli. «Questi tre fattori hanno contribuito a far salire la domanda
globale di energia del 2,1% nel 2017», dice il rapporto.
Ma non dappertutto: negli Usa le
emissioni sono diminuite dello 0,5%, o 25 Mt, calando a 4.810 Mt di CO2 ,
segnando il terzo anno di calo consecutivo. Ma c’è una novità: mentre negli
anni precedenti nella riduzione delle emissioni ha svolto un ruolo
importante la conversione da carbone a gas delle centrali elettriche, nel 2017
il calo è stato il risultato di una maggiore produzione di elettricità da fonti
rinnovabili e da un calo della domanda di elettricità. Negli Usa la quota di
energie rinnovabili nella produzione di energia elettrica ha raggiunto un
livello record del 17%, mentre la quota di energia nucleare si è mantenuta
stabile al 20%.
Anche nel Regno Unito, le emissioni
sono diminuite del 3,8%, o di 15 Mt, calando a 350 Mt di CO2, il livello più
basso registrato dal 1960. La Gran Bretagna sta continuando la transizione dal
carbone al gas e alle fonti rinnovabili che ha portato a un calo del 19% della
domanda di carbone . In Messico, le emissioni sono calate addirittura del
4%, grazie al calo dell’utilizzo di petrolio e carbone, all’aumento
dell’efficienza nel sistema energetico, alla forte crescita delle energie rinnovabili
e da un lieve aumento dell’utilizzo complessivo del gas. In
Giappone, le emissioni di CO2 sono diminuite dello 0,5% grazie all’aumento
della produzione di elettricità da fonti rinnovabili e al calo di utilizzo di
petrolio combustibili fossili, in particolare petrolio, da parte delle
popolazioni sfollate dopo la catastrofe nucleare di Fukushima Daiichi.
Ma la situazione resta preoccupante
perché sono le economie asiatiche a rappresentare i due terzi dell’aumento
globale delle emissioni di carbonio. Nel 2017 l’economia cinese è
cresciuta “solo” del 7% e anche se le sue emissioni sono aumentate
solo dell’1,7% (150 Mt) grazie al continuo dispiegamento di energie rinnovabili
e al passaggio più veloce dal carbone al gas, hanno raggiunto le 9,1 Gt, quasi
l’1% in più rispetto al livello del 2014. Anche se la domanda di carbone
della Cina ha raggiunto il picco nel 2013, le emissioni legate all’energia
continuano ad aumentare a causa dell’aumento della domanda di petrolio e
gas.
Anche nell’altra superpotenza
asiatica e planetaria, l’India, la crescita economica spinge verso l’alto la
domanda di energia e le emissioni, ma a metà del tasso osservato negli ultimi
10 anni. Nel 2017 le emissioni pro-capite dell’India erano1,7 t CO2 ,
ben al di sotto della media globale pro capite di 4,3 tCO2.
Cattive notizie anche dalla
“virtuosa” Unione Europea, dove, nonostante impegni solenni e Direttive
vincolanti, le emissioni sono cresciute dell’1,5%, aggiungendo quasi 50 Mt di
CO2, invertendo parte dei progressi compiuti negli ultimi anni, soprattutto a
causa della robusta crescita del consumo di petrolio e gas. il rapporto Iea
evidenzia che nell’Unione europea «Il tasso di miglioramento dell’intensità
energetica è sceso dello 0,5% rispetto all’1,3% dell’anno precedente».
Anche le economie del Sud-est
asiatico hanno contribuito all’aumento delle emissioni, con l’Indonesia in
testa con un aumento del 4,5% rispetto al 2016. Ma è noto che Jakarta non sta
rispettando l’impegni per fermare la deforestazione.
Il “Global Energy & CO 2 Status
Report” sottolinea che «La crescita delle emissioni di biossido di
carbonio legate al settore energetico nel 2017 è un forte avvertimento per gli
sforzi globali volti a combattere i cambiamenti climatici e dimostra che gli
attuali sforzi non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi dell’accordo
di Parigi».
Il Sustainable Development Scenario
dell’’International Energy agency traccia un percorso verso la
realizzazione di obiettivi climatici a lungo termine de dice che «Le emissioni
globali devono raggiungere il picco a breve e diminuire drasticamente fino al
2020». I dati del Global Energy & CO 2 Status Report”
dimostrano che «questo calo ora dovrà essere ancora maggiore dato
l’aumento delle emissioni nel 2017. Per raggiungere gli obiettivi di questo
scenario, la quota di fonti energetiche low-carbon dovrebbe aumentare di 1,1
punti percentuali ogni anno, oltre cinque volte la crescita registrati nel
2017. Nel settore energetico, in particolare, la generazione da fonti
rinnovabili dovrebbe aumentare di circa 700 TWh all’anno in questo scenario,
l’80% in più rispetto all’aumento di 380 TWh registrato nel 2017».
da greenreport.it - 23 marzo
2018