di Elena Donà *
A otto mesi dall’approvazione del nuovo Piano di Coordinamento del Territorio la Provincia di Torino fa il punto della situazione. Il consumo di suolo dal 2006 al 2010 è sceso sensibilmente, ma restano molti nodi da risolvere: come si bilancia l’esigenza di nuove infrastrutture e la difesa del territorio.
“Territorio maneggiare con cura”, seconda puntata: a novembre 2011 la Provincia di Torino aveva presentato il nuovo Piano territoriale di coordinamento (PTC2), nato con un obiettivo fondamentale: limitare il consumo di suolo, spesso scriteriato e senza scrupoli, che sta divorando gli spazi verdi dentro e soprattutto intorno alle città e ai piccoli comuni. Nel territorio provinciale, tra il 1990 e il 2006 erano stati consumati 7500 ettari di terreni agricoli: praticamente una seconda Torino. Ora, ad otto mesi dall’approvazione del PTC2, è tempo di fare i primi bilanci.
Partiamo dal consumo di suolo degli ultimi anni, un dato recentemente acquisito dall’ Osservatorio Provinciale con una nuova base cartografica (ortofoto BLOM-CGR, realizzata nell’estate 2010). Fra il 2006 – anno dell’ultimo “volo” effettuato dall’Osservatorio - e il 2010 il consumo medio annuo di terreno è stato di 197,5 ettari corrispondenti ad un aumento percentuale del consumo di suolo del 2,2%. Ancora troppo? Forse, ma si tenga presente che fra il 2000 e il 2006 il valore annuale medio era di 962,5 ettari, pari al 9% di incremento percentuale. A conti fatti, il tasso medio di incremento fra il 2000 e il 2006 era del 2,5. Nei quattro anni successivi, il valore è sceso allo 0,6%.
Consumo di suolo e incremento demografico vanno di pari passo? La popolazione aumenta, ma lievemente: appena 50.000 unità in quattro anni. A pesare invece è l’aumento delle “famiglie”: o meglio, la tendenza a separare i nuclei, dividendosi in unità famigliari sempre più piccole (Nel 1990 il numero medio di componenti di una famiglia sul territorio provinciale era 2,55. Nel 2010 è sceso a 2,28). Insomma, se aumenta l’esigenza di spazi abitativi indipendenti aumenta anche il consumo di suolo per costruirli (anche se, a dirla tutta, il trend di crescita delle abitazioni supera nettamente quello del consumo di territorio). Ma questa tendenza alla “nuclearizzazione” basta da sola a giustificare l’impiego di terreni liberi? Ovviamente no: anche perché non necessariamente una nuova famiglia che si forma necessita di un nuovo terreno “vergine” su cui fare il nido…
A pesare sul consumo di suolo c’è ovviamente l’espansione urbana dovuta a impianti industriali-produttivi (si veda la discussione nata attorno al caso Ikea, per esempio), ma anche due fenomeni importanti, che rischiano di creare un cortocircuito difficilmente recuperabile: più ci si allontana dalle città, più scende il prezzo delle abitazioni in proporzione alla metratura.
Negli ultimi anni c’è stato un progressivo allontanamento dai centri urbani, con conseguente delocalizzazione sul territorio. Nella Provincia di Torino per esempio, le zone che hanno visto aumentare maggiormente il numero delle abitazioni sono proprio quelle “di seconda cintura”, e in particolare il Pinerolese, l’Eporediese e il Chierese, con aumenti compresi fra il 10 e il 20%.
Ma più abitazioni significa anche più infrastrutture? Sì, per forza. Un po’ perché ovviamente nuove aree residenziali chiamano nuovi esercizi commerciali, ma soprattutto perché con la delocalizzazione cresce anche la domanda di mobilità: strade, per esempio. Strade per raggiungere il posto di lavoro, che raramente coincide con il comune di residenza. “La distanza oggi non si misura più in km – commenta Paolo Foietta, Direttore Area Territorio della Provincia di Torino – Si misura in tempi e costi di percorrenza. Nessuno può mettere in discussione il diritto alla mobilità, né la necessità delle infrastrutture (NdR: Nel PTC2 si legge proprio “L’esistenza di una efficiente rete infrastrutturale, stradale e ferroviaria, è condizione indispensabile per lo sviluppo sociale, economico e culturale di una comunità"), ma il problema è evitare che la realizzazione di nuove infrastrutture si tiri dietro una coda di urbanizzazione non prevista, come invece avviene ora”. L’Osservatorio provinciale calcola che l’influenza delle strade sull’urbanizzazione incida fino al 30% sul totale del consumo di suolo.
E cioè, se io costruisco una nuova superstrada perché le infrastrutture esistenti sono già intasate e quasi inservibili, lungo questa nuova strada cominceranno ad accatastarsi case su case per sfruttare il nuovo asse. E in poco tempo siamo punto a capo. Ecco perché in questi anni abbiamo assistito ad un proliferare di circonvallazioni nate per decongestionare le precedenti, seguite però da un aumento di abitazioni lungo le circonvallazioni, con conseguenti nuovi ingorghi, in una spirale destinata a collassare, oltre ad essere economicamente ed ambientalmente insostenibile. (Infrastrutture congestionate si traducono in traffico bloccato, emissioni, inquinamento, Pm10, Pm 2.5, e un evidente peggioramento della qualità della vita). E allora come ne usciamo? Si può trovare un bilanciamento fra salvaguardia del territorio e realizzazione di nuove infrastrutture, comunque necessarie?
Secondo Paolo Foietta si deve. “Bisogna lavorare sulle politiche insediative, che devono concentrare la crescita sui nodi infrastrutturali già esistenti, senza disperdere nuove unità sul territorio (il cosiddetto sprawl). Bisogna impedire che le nuove infrastrutture diventino assi di sviluppo insediativo, come è accaduto fino ad ora. Oltretutto troppo spesso per sfruttare una strada i Comuni hanno creato accessi pericolosi, finendo per compromettere la sicurezza della strada stessa. Gli accessi a raso dovrebbero essere completamente banditi”.
Tutto questo nel PTC2 c’è già, come hanno ricordato anche Antonio Saitta e Ugo Cavallera, Assessore regionale all'Urbanistica, che ha espresso molta soddisfazione per il lavoro svolto. “Lo strumento del piano di coordinamento territoriale è di grandissima importanza – ha dichiarato Cavallera - I Comuni dovranno impegnarsi quotidianamente per riqualificare le aree già compromesse limitando il più possibile nuovi insediamenti sui suoli verdi. I lavori sono in corso. Ora è il momento di passare ai fatti.”
Il Presidente della Provincia Saitta ha poi sottolineato l’importanza dei tavoli di co-pianificazione e sul supporto tecnico che gli osservatori provinciali sono in grado di fornire ai comuni, per aiutarli nella messa in pratica dei principi introdotti dal PTC2. “Per ora siamo soddisfatti di come stanno andando le cose. Si è messo in moto un processo di revisione dei piani regolatori che finalmente mette al centro la salvaguardia del territorio”. Insomma, c’è ancora tanto da fare ma i lavori sono in corso.
Guarda i video della prima edizione di Territorio: maneggiare con cura(novembre 2011)
* da ecodallecitta.it 13 aprile 2012
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