mercoledì 13 luglio 2016

Una riflessione sulle campagne referendarie da parte del Comitato Acqua Pubblica di Torino



Si sono concluse da pochi giorni le campagne referendarie lanciate nella primavera di quest’anno da soggetti diversi, sui temi del lavoro, sociali e istituzionali. Purtroppo la conta delle firme non è stata premiante: si arriverà al voto solo sui quesiti relativi al Jobs Act; per i quesiti della scuola la situazione è incerta, mentre né i referendum ambientali né quelli abrogativi dell’Italicum hanno raggiunto il minimo necessario per consentire ai cittadini di esprimersi tramite il voto. 

Sono già usciti alcuni comunicati da parte dei promotori con valutazioni sul perché temi così forti non abbiano fatto breccia; ma se è vero che ci sono state difficoltà oggettive (difficoltà nel reperire autenticatori, Comuni inefficienti nel certificare le firme e così via) riteniamo necessaria una riflessione più profonda e critica dell’operato di ciascuno di noi.

A parte alcuni felici casi isolati di comitati che hanno collaborato con successo, queste campagne referendarie sono state caratterizzate da divisioni interne, campanilismo e settarismo. La campagna dei referendum sociali è cominciata con lo sfilarsi da parte di FLC-CGIL dal gruppo dei proponenti per portare avanti una raccolta parallela solo su lavoro e scuola, e questo dopo l’assemblea nazionale che lanciava la campagna unitaria! Ci siamo ritrovati nella surreale situazione di dover quasi pregare per avere dei moduli della scuola sui quali raccogliere le firme, e di avere i Cobas come unico canale per ottenerli: alla faccia della coalizione sociale! E anche pura follia, visto che adesso scopriamo esserci la forte probabilità di mancare, seppur di poco, il risultato.
La campagna contro l’Italicum secondo i suoi stessi promotori avrebbe dovuto essere inserita nella stagione  referendaria complessiva, ma in realtà il legame tra diritti sociali e del lavoro e la Costituzione è passato in secondo piano rispetto a piccoli campanilismi. Questa mancata condivisione dei principi cardine, si è tradotta poi in difficoltà pratiche: da episodi spiacevoli ai banchetti al fatto che solo all’ultimo si è riusciti a condividere una lista degli autenticatori in modo da razionalizzare e risparmiare le forze.
Se la CGIL è riuscita (per fortuna) ad ottenere le firme necessarie sul Jobs Act, il probabile fallimento dei quesiti scuola rivela una spaccatura all’interno della stessa CGIL che non ha evidentemente supportato se non in modo frammentario e parziale nemmeno una propria organizzazione. Qualcuno ha creduto che la somma di sigle minoritarie fosse sufficiente per creare un’alleanza sociale; qualcuno ha pensato di poter calare la campagna dall’alto di importanti cattedre universitarie; qualcuno ha avuto eccessiva fiducia in legami di rappresentanza sindacali e di partito che ha ritenuto potessero sostituire la costruzione di un movimento unitario. Abbiamo tutti mostrato il fianco svelando le nostre debolezze. La lezione che ci avevano dato i referendum del 2011 (1,5 milioni di firme a quesito, 26 milioni di voti), e cioè l’importanza di costruire percorsi condivisi, l’abbiamo dimenticata nella fretta di partire e nell’ansia di difendere ciascuno il proprio orticello. 

Perdonateci se scriviamo queste cose, dolorose da ascoltare tanto quanto da scrivere. Non lo facciamo per toglierci qualche sassolino dalla scarpa, o perché amiamo i “mea culpa”, ma perché individuare solo le cause esterne del nostro insuccesso non è serio verso i cittadini che hanno firmato e verso tanti attivisti che hanno tentato il tutto per tutto massacrandosi in ore di lavoro ai banchetti e per la certificazione delle firme. Ci preme soprattutto trarre da questa dolorosa sconfitta una lezione che ci permetta di affrontare meglio la grande prova che ci aspetta ad Ottobre. Per evitare lo scempio della Costituzione, non ci basterà dire NO, o seguire la strada che propone Renzi ed impostare tutto in un “o la va o la spacca” contro il Governo. Dovremo saper portare davanti ai cittadini la nostra visione del mondo, dovremo essere in grado di far sentire viva e attuale la Costituzione e questo presuppone condividere principi, percorsi: sapremo farlo?  Abbiamo voglia di buttarci alle spalle le attuali miserie per costruire davvero il fronte unito di cui abbiamo bisogno?

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