Si sono
concluse da pochi giorni le campagne referendarie lanciate nella primavera di
quest’anno da soggetti diversi, sui temi del lavoro, sociali e istituzionali.
Purtroppo la conta delle firme non è stata premiante: si arriverà al voto solo
sui quesiti relativi al Jobs Act; per i quesiti della scuola la situazione è
incerta, mentre né i referendum ambientali né quelli abrogativi dell’Italicum
hanno raggiunto il minimo necessario per consentire ai cittadini di esprimersi
tramite il voto.
Sono già
usciti alcuni comunicati da parte dei promotori con valutazioni sul perché temi
così forti non abbiano fatto breccia; ma se è vero che ci sono state difficoltà
oggettive (difficoltà nel reperire autenticatori, Comuni inefficienti nel
certificare le firme e così via) riteniamo necessaria una riflessione più
profonda e critica dell’operato di ciascuno di noi.
A parte
alcuni felici casi isolati di comitati che hanno collaborato con successo,
queste campagne referendarie sono state caratterizzate da divisioni interne,
campanilismo e settarismo. La campagna dei referendum sociali è cominciata con
lo sfilarsi da parte di FLC-CGIL dal gruppo dei proponenti per portare avanti
una raccolta parallela solo su lavoro e scuola, e questo dopo l’assemblea nazionale
che lanciava la campagna unitaria! Ci siamo ritrovati nella surreale situazione
di dover quasi pregare per avere dei moduli della scuola sui quali raccogliere
le firme, e di avere i Cobas come unico canale per ottenerli: alla faccia della
coalizione sociale! E anche pura follia, visto che adesso scopriamo esserci la
forte probabilità di mancare, seppur di poco, il risultato.
La campagna
contro l’Italicum secondo i suoi stessi promotori avrebbe dovuto essere
inserita nella stagione referendaria
complessiva, ma in realtà il legame tra diritti sociali e del lavoro e la
Costituzione è passato in secondo piano rispetto a piccoli campanilismi. Questa
mancata condivisione dei principi cardine, si è tradotta poi in difficoltà
pratiche: da episodi spiacevoli ai banchetti al fatto che solo all’ultimo si è
riusciti a condividere una lista degli autenticatori in modo da razionalizzare
e risparmiare le forze.
Se la CGIL è
riuscita (per fortuna) ad ottenere le firme necessarie sul Jobs Act, il
probabile fallimento dei quesiti scuola rivela una spaccatura all’interno della
stessa CGIL che non ha evidentemente supportato se non in modo frammentario e
parziale nemmeno una propria organizzazione. Qualcuno ha creduto che la somma
di sigle minoritarie fosse sufficiente per creare un’alleanza sociale; qualcuno
ha pensato di poter calare la campagna dall’alto di importanti cattedre
universitarie; qualcuno ha avuto eccessiva fiducia in legami di rappresentanza
sindacali e di partito che ha ritenuto potessero sostituire la costruzione di
un movimento unitario. Abbiamo tutti mostrato il fianco svelando le nostre
debolezze. La lezione che ci avevano dato i referendum del 2011 (1,5 milioni di
firme a quesito, 26 milioni di voti), e cioè l’importanza di costruire percorsi
condivisi, l’abbiamo dimenticata nella fretta di partire e nell’ansia di
difendere ciascuno il proprio orticello.
Perdonateci
se scriviamo queste cose, dolorose da ascoltare tanto quanto da scrivere. Non
lo facciamo per toglierci qualche sassolino dalla scarpa, o perché amiamo i “mea
culpa”, ma perché individuare solo le cause esterne del nostro insuccesso non è
serio verso i cittadini che hanno firmato e verso tanti attivisti che hanno
tentato il tutto per tutto massacrandosi in ore di lavoro ai banchetti e per la
certificazione delle firme. Ci preme soprattutto trarre da questa dolorosa
sconfitta una lezione che ci permetta di affrontare meglio la grande prova che
ci aspetta ad Ottobre. Per evitare lo scempio della Costituzione, non ci
basterà dire NO, o seguire la strada che propone Renzi ed impostare tutto in un
“o la va o la spacca” contro il Governo. Dovremo saper portare davanti ai
cittadini la nostra visione del mondo, dovremo essere in grado di far sentire
viva e attuale la Costituzione e questo presuppone condividere principi,
percorsi: sapremo farlo? Abbiamo voglia
di buttarci alle spalle le attuali miserie per costruire davvero il fronte
unito di cui abbiamo bisogno?
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